Hostname: page-component-745bb68f8f-kw2vx Total loading time: 0 Render date: 2025-02-11T06:58:18.910Z Has data issue: false hasContentIssue false

LE STORIE DELLA PASSIONE DI CRISTO DELLA CAPPELLA «DEGLI ILLUSTRISSIMI» NEL DUOMO DI NAPOLI. RIFLESSIONI SUL TRIANGOLO NAPOLI, SIENA E AVIGNONE

Published online by Cambridge University Press:  15 March 2019

Abstract

Il saggio analizza in dettaglio, con immagini inedite e di alta qualità (frutto di apposita campagna fotografica), le trecentesche Storie della Passione di Cristo della cappella «degli Illustrissimi», posta all'estremità del braccio settentrionale del transetto del duomo di Napoli. L'opera, realizzata a monocromo, si compone di quattro scene maggiori, leggibili da sinistra a destra, Cristo schernito e spogliato delle vesti, Flagellazione, Andata al Calvario e Deposizione, e di una scena minore, un'Annunciazione con probabile offerente. A dispetto dell'alta qualità esecutiva e del raffinato livello d'invenzione, l'opera è scarsamente conosciuta, e spesso ignorata, da parte della critica moderna. Scopo del contributo è di presentare in dettaglio le Storie della Passione per fornire una corretta e approfondita lettura iconografica dei singoli episodi e per individuare le fonti visive alla base della rappresentazione.

This paper analyses in detail, with unpublished high-quality images (produced specifically for this project), the fourteenth-century Stories of the Passion of Christ in the chapel ‘degli Illustrissimi’, located at the end of the northern arm of the transept in Naples Cathedral. The work, produced in monochrome, is made up of four major scenes, to be read from left to right: Christ mocked and stripped of his clothing; The Flagellation; The Journey to Calvary; The Deposition; and a minor scene, an Annunciation with probable donor. Despite the high quality of the execution and the refined level of invention, the work is scarcely known, and often ignored by modern criticism. The purpose of this contribution is to present the Stories of the Passion in detail, to provide a correct and thorough iconographic reading of the individual episodes and to identify the visual sources that underlie the representation.

Type
Articles
Copyright
Copyright © British School at Rome 2019 

Nella cappella detta «degli Illustrissimi», posta all'estremità del braccio settentrionale del transetto dell'attuale duomo di Santa Maria Assunta a Napoli e in contrapposizione alla cappella gentilizia dei Minutolo, si conserva sull'architrave marmoreo della porta nord un pregevolissimo, e ancora poco studiato, disegno a monocromo con Storie della Passione di Cristo di conclamata referenza trecentesca (Figs 1–2). Il disegno consta di quattro scene leggibili da sinistra a destra: Cristo schernito e spogliato delle vesti, Flagellazione, Andata al Calvario e Deposizione (Fig. 3); la prima e l'ultima hanno larghezza maggiore rispetto alle restanti. Sulle mensole d'imposta dell'architrave è presente un’Annunciazione con probabile offerente, realizzata sempre a monocromo. Lo stato di conservazione non è dei migliori, come si ricava dalle molteplici abrasioni presenti sul marmo, dal deperimento del segno grafico conseguente all'alterazione dei pigmenti, dalle stuccature e dalle imbiancature dovute a grossolani interventi edilizi e dai depositi di polvere e fumo di candele. Tale degrado, associato alla scarsa menzione da parte della critica, è incomprensibile in ragione dell'elevata qualità esecutiva dell'opera e del suo raffinato livello d'invenzione. La bibliografia, ad oggi, conta tre soli interventi: una breve descrizione di Pierluigi Leone de Castris, che – nella sua Arte di corte nella Napoli angioina (Reference Leone de Castris1986a: 416–17) – definisce l'opera «il capolavoro più alto della congiuntura Napoli-Avignone», una citazione da parte di Ferdinando Bologna, che – nell’Enciclopedia dell'arte medievale (Reference Bologna and Romanini1991, I: 687) alla voce Angioini, pittura e miniatura – si limita ad ascrivere il disegno a «maestri formatisi ad Avignone» ed operanti a Napoli, e una fugace menzione di Francesco Aceto e Paola Vitolo, che - nella loro Architettura e arti figurative di età gotica in Campania (Reference Aceto and Vitolo2017, I: 128) - parlano di «un disegno di altissima qualità […] nel quale è stato visto l'intervento di un artista ben addentro alla cultura avignonese in senso martiniano degli anni Quaranta del secolo».

Fig. 1. Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi»: veduta in corrispondenza della porta nord. (T. De Giorgio.)

Fig. 2. Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi»: porta nord. (T. De Giorgio.)

Fig. 3. Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi»: architrave della porta nord con Storie della Passione e Annunciazione con offerente. (T. De Giorgio.)

Scopo principale di queste pagine è di presentare in dettaglio le Storie della Passione muovendo dal loro contesto di produzione per fornire una corretta e approfondita lettura iconografica dei singoli episodi e per individuare le fonti visive alla base della rappresentazione.

Prima di procedere, tuttavia, è fondamentale ripercorrere i fatti che hanno portato la cappella ad assumere l'aspetto attuale. Eretta secondo il Sersale (Reference Sersale1745: 18, 20) intorno al 543 dall'arcivescovo Giovanni II (533-555) al capo della navata laterale destra della Stefania e in origine intitolata a San Lorenzo martire,Footnote 2 la cappella, a seguito dell'edificazione del nuovo duomo angioino, venne cospicuamente rimaneggiata al principio del XIV secolo,Footnote 3 dopo il completamento della zona presbiterale, dall'arcivescovo Humbert d'Ormont (1308–1320), borgognone eletto «de gremio Capituli» (Fonseca, Reference Fonseca2003: 228), che la reintitolò – in ossequio alla dedicazione a San Pietro della simmetrica cappella Minutolo – all'apostolo Paolo con l'istituzione del beneficio di «San Paulo de Humbertis».Footnote 4 La cappella venne provvista di quattro accessi che la collegavano a oriente col duomo, a occidente col cortile del palazzo arcivescovile, a meridione con l'esterno e a settentrione, tramite la già citata porta nord, con un piccolo ambiente destinato a sacrestia (Fig. 4). Al termine dei lavori, il vescovo fece apporre nelle due chiavi delle volte a crociera costolonata l'arme della propria famigliaFootnote 5 e quella del connazionale Ayglerius (1267–1282), «suo predecessore e consanguineo» (D'Engenio Caracciolo, Reference D'Engenio Caracciolo1623: 30; cf. Chioccarello, Reference Chioccarello1643: 178; Summonte, Reference Summonte1675: 380). Nella prospettiva che il transetto della cattedrale angioina fosse – come condivisibilmente sostenuto dalla Romano prima (Reference Romano and Michalsky2001: 198-202) e dalla Bruzelius poi (Reference Bruzelius2005: 107-8) – destinato alla celebrazione del tema episcopale e, al tempo stesso, delle origini apostoliche della chiesa napoletana (prova ne sia la collocazione ai due lati dell'abside delle cappelle riservate, a destra, al protovescovo Aspreno, battezzato da Pietro, e, a sinistra, al vescovo carolingio Atanasio) (Bacco e D'Engenio Caracciolo, Reference Bacco and D'Engenio Caracciolo1616: 45; Celano, Reference Celano1970: 199 sgg.; Summonte, Reference Summonte1675: 345; Bock, Reference Bock, Romano and Bock2002: 135), con la fondazione dei propri sacelli il Minutolo e il d'Ormont vollero de facto elevare se stessi al livello dei propri predecessori. Nella strategia socio-politica del d'Ormont, che in virtù dell'amicizia di vecchia data con Carlo I d'Angiò e della posizione di consigliere particolare di Carlo duca di Calabria godeva del favore reale, la sua cappella doveva essere il luogo di sepoltura privilegiato degli arcivescovi francesi fedeli alla dinastia angioina e degli ecclesiastici più illustri tumulati nella demolita Stefania: nel 1315 venne sistemato il monumento funebre di AygleriusFootnote 6, primo arcivescovo angioino, nel 1318 quello di papa Innocenzo IV,Footnote 7 morto a Napoli il 7 dicembre 1254 (Pagnotti, Reference Pagnotti1898: 119), e nel 1320 quello dello stesso committente, che per sé volle una semplice lastra tombale.Footnote 8 Sui sarcofagi lunghe iscrizioni latine celebravano le virtù dei defunti e riconoscevano a «Humbertus metropolita» il merito di quelle solenni traslazioni (Romano, Reference Romano, Romano and Bock2002: 19, n.43).Footnote 9 Il d'Ormont provvide quindi alla realizzazione di un dignitoso apparato figurativo, ispirato al mistero dell'incarnazione di Cristo, che prevedeva sulla parete di ingresso in chiesa il maestoso affresco con l’Albero di Jesse di mano – secondo Bologna – del cosiddetto Lello da Orvieto (Fig. 5) (Bologna, Reference Bologna1969: 126-32),Footnote 10 fantomatica personalità artistica alla quale – sempre secondo lo studioso – il Capitolo del duomo avrebbe commissionato intorno al 1320 anche il presunto ritratto funerario su tavola dell'arcivescovo borgognone, a mezzo busto e su fondo oro, sormontato da una cuspide con l'effige di san Paolo e munito di una perduta predella con arme gentilizia,Footnote 11 da collocare nella cappella al di sopra della lapide del defunto (Fig. 6) (Bologna e Doria, Reference Bologna and Doria1954: 3-4; Bologna, Reference Bologna1969: 127).Footnote 12 Sull'altare principale, come rilevato da Bologna (Reference Bologna and Leone de Castris1988), doveva esservi una pala mariana, la cui tavola centrale lo studioso ha riconosciuto nella Madonna col Bambino della Galleria Lorenzelli di Bergamo, da lui attribuita ancora una volta a Lello da Orvieto.Footnote 13 L'insolita collocazione dell’Albero di Jesse in un contesto di pertinenza privata è apparentemente inspiegabile, a meno di non considerare l'opera nella sua valenza simbolica – comune nella Francia del tempo – di esaltazione dell'istituto monarchico. D'altronde, se scopo di questa tipologia di immagine era di “certificare” l'esistenza storica di Gesù Cristo a beneficio della gran mole illetterata dei fedeli, la sua collocazione in un simile contesto doveva assolvere una specifica funzione di omaggio nei confronti dei sovrani angioini, che nell'albero genealogico del Salvatore vedevano confermata, nei re Davide e Salomone coronati e con indosso vesti sontuose, la sacralità del loro potere dinastico. Tale soluzione, suffragata dal ben noto sodalizio tra monarchia e curia nell'erezione della nuova cattedrale, nonché nella messa in opera dei singoli arredi liturgici e degli apparati celebrativi (decorazioni pittoriche comprese), trova conferma nella rappresentazione dei regnanti angioini nelle sembianze dei re biblici, come accade nella Bibbia miniata di Niccolò di Alife, conservata nella biblioteca della facoltà teologica di Lovanio (Bibliotheek Faculteit Theologie, MS Lat. 1, fol. 158v), dove Roberto d'Angiò è rappresentato nelle vesti di Salomone.Footnote 14

Fig. 4. Pianta delle due antiche e odierna cattedrale di Napoli. (Sersale, Reference Sersale1745: tav. 30.)

Fig. 5. Lello da Orvieto (attribuito), Albero di Jesse, affresco, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Fig. 6. Lello da Orvieto (attribuito), Ritratto dell'arcivescovo Humbert d'Ormont e san Paolo, tempera e oro su tavola, Napoli, Museo diocesano. (C. Raso.)

L'attuale aspetto della cappella, non più conforme a quello originario, risente dei pesanti rimaneggiamenti operati tra XVI e XVII secolo: entro il 1560 il sepolcro di Innocenzo IV era stato sistemato, in larga parte alterato, appena fuori del sacello, dove si trova tuttora;Footnote 15 nel 1574 la sepoltura del d'Ormont venne smantellata per volere dell'arcivescovo Mario Carafa (1565–1576),Footnote 16 che fece rimuovere anche l'altare «in capite […] sub vocabulo S.ti Paulj de Umbertis»;Footnote 17 nel 1580 il nuovo arcivescovo Annibale di Capua (1578–1595) destinò la cappella a sacrestia,Footnote 18 l'anno dopo la adibì a cappella del seminarioFootnote 19 e fece smontare il monumento funebre di Ayglerius, trasferito a ridosso della cappella Seripando e poi distrutto nel corso del restauro settecentesco del cardinale Spinelli (Strazzullo, Reference Strazzullo1965: 77);Footnote 20 al principio del XVII secolo, il rettore del seminario Carlo Carafa dispose che si adornasse la cappella, al fine di attenuare la sua aura funeraria, «con pitture e collo stucco indorato» (Gisolfo, Reference Gisolfo1667: 126) e che si collocasse sull'altare il trittico di Giovanni Antonio Santoro con la Visitazione della Madonna a santa Elisabetta tra i santi Nicola e Restituta;Footnote 21 in quegli stessi anni il cardinale arcivescovo Alfonso Gesualdo (1596–1603) attribuì alla cappella il titolo di «Visitazione della Beata Vergine» e ratificò la sua assegnazione in uso al seminario (D'Engenio Caracciolo, Reference D'Engenio Caracciolo1623: 28; De Maio, Reference De Maio1958: 161; Strazzullo, Reference Strazzullo1959: 171–2). Divenuta, per volere del cardinale Innico Caracciolo (1667–1685), sede della Congregazione delle Apostoliche Missioni,Footnote 22 acquistò il nome di «Cappella degli Illustrissimi», con riferimento al prestigio, spirituale e intellettuale, dei suoi soci (De Maio, Reference De Maio1958: 162). Si può, in definitiva, affermare che, allo stato attuale, della primitiva cappella siano rimasti in sede solo l'affresco con l’Albero di Jesse, restaurato in anni recenti, e – come vedremo – il monocromo con le Storie della Passione (ignorato finanche dalle fonti antiche), che mi accingo ora a descrivere, non prima di aver fornito le dimensioni esatte della porta nord e del suo architrave. L'altezza degli stipiti è di 180 centimetri, mentre l'architrave misura 35 centimetri di altezza per 115 di larghezza. Le singole scene hanno un'altezza massima di 31 centimetri e misurano la prima 29,5 centimetri di larghezza, la seconda e la terza 23 centimetri e la quarta 30 centimetri.

Racchiuse entro sottili cornici lineari, le scene maggiori si svolgono in ambientazioni essenziali, in cui la mediana di orizzonte delimita la fascia marrone in cui si muovono le figure. I personaggi occupano lo spazio con sicurezza, atteggiandosi in modo naturale e comunicando i propri stati d'animo attraverso una gestualità disinvolta e, a tratti, crudele. A ben guardare, si scopre che il disegno è realizzato direttamente sul marmo a matita ripassata a tempera, applicata con buona probabilità con un pennello di scoiattolo (strumento con cui i miniatori, per l'appunto, ripassavano i disegni a stilo «su carta pecorina»), usato con grandissima padronanza tecnica come rivelano i sottili tratti che descrivono le figure. Simile nell'aspetto a una sinopia, l'opera risente delle vicissitudini storiche che hanno interessato gli ambienti della cappella, in particolare al principio del XVII secolo. Leone de Castris (Reference Leone de Castris1986a: 416) ritiene che le Storie della Passione siano potute riemergere nel corso del restauro strutturale a cui venne sottoposto il duomo negli anni 1969–1972 al di sotto di un vecchio strato d'intonaco, a mio avviso risalente alla fase decorativa disposta da Carlo Carafa.Footnote 23 Pertanto, non è da escludere che l'intonaco, di cui vi è tuttora traccia, abbia compromesso la conservazione dei pigmenti, in un caso facendo virare le tonalità cromatiche, nell'altro assimilando e, di conseguenza, rimuovendo i colori più chiari. Alla luce di ciò sono del parere che siamo in presenza di un'opera compiuta realizzata con una tecnica inusuale e sbrigativa, le ragioni del cui impiego al momento non ci sono date conoscere.

Per quanto nel suo insieme la composizione appare monocroma, da diversi elementi si evince che in origine la superficie, almeno in larga parte, doveva essere policroma. A testimoniarlo sono le cornici, le vesti, le bandiere, gli scudi e gli strumenti del martirio, che serbano ancora memoria di colorazioni in toni di marrone, di rosso e di ocra. A tal proposito, per favorire l'incorporazione dei pigmenti nel marmo quest'ultimo è stato sottoposto a un preventivo trattamento di irruvidimento, mediante sfregamento di materiali abrasivi, come si ricava dalla presenza di leggeri solchi in corrispondenza delle aree segnalate. Purtroppo, nel nostro caso, che rappresenta un unicum nel suo genere, non si può ancora parlare di pittura propriamente ‘su pietra’, che – al pari di molte altre esperienze riconducibili all'arte classica – ha trovato applicazione regolare, con tecniche ben precise, solo a partire dal tardo Rinascimento.Footnote 24 Quanto rimasto dei pigmenti ci consente di identificare la modalità di applicazione, avvenuta forse per mezzo di «pezzuole» imbevute di colore, impiegate solitamente dai miniatori per ombreggiare in modo stemperato e delicato. A sostegno di questa ipotesi si può aggiungere che il de Castris (Reference Leone de Castris1986a: 417) mette in relazione il nostro monocromo proprio con l'operato di alcuni brillanti miniatori: «Vi si avvicina al massimo grado il primo maestro della Bible Moralisée di Parigi, ma per difetto […] alcuni dati di certa calibratura della forma e di scorci di figure farebbero pensare ad episodi di giottismo aulico gradito ad Avignone nel genere del “Maestro del Codice di S. Giorgio” o anche del maestro assisiate delle Vele, se non fosse che nelle loro opere tutto quanto è sempre meno mosso e drammatico».Footnote 25 Utili raffronti per quanto concerne la tecnica e le scelte coloristiche, ma di certo non lo stile, possono essere condotti con le miniature contenute nel libro manoscritto delle Vitae Patrum della Morgan Library di New York (MS M 626, Vitae Patrum (1350–75), fols. 6v, 8r, 8v, 13v, 89v), preziosa testimonianza della Napoli angioina databile tra 1350 e 1375.Footnote 26 Che l'anonimo autore delle Storie della Passione vantasse nel suo bagaglio di competenze artistiche discreta pratica nell'illustrazione dei manoscritti, come previsto nel percorso formativo nelle botteghe dell'epoca, appare chiaro.

Passiamo adesso all'analisi della composizione. Nella prima scena Cristo è, al contempo, spogliato delle vesti, incoronato di spine, percosso e schernito da un manipolo di brulicanti personaggi dalle espressioni sadiche (Fig. 7); in lontananza, sulla sinistra si distingue il profilo di un edificio medievale provvisto di merli (Fig. 8), mentre sulla destra un raggio di luce proveniente dalla sfera celeste – rappresentata nell'angolo nel rispetto della consolidata tradizione medievale – si irradia sul capo del Cristo (Fig. 9). Le allusioni spaziali sono evidenti nel calibrato moto rotante delle posture dei cinque aguzzini intorno alla loro vittima, che appare serenamente rassegnata al suo tragico destino (Fig. 10). Nella seconda scena Cristo, legato per i polsi a una sottile colonna, è flagellato da due sgherri (nelle cui mani si riconoscono i classici flagelli romani laciniati), che flettono i loro busti per infliggere brutali sferzate (Fig. 11). Sorprendente è l'abilità con cui è stato catturato, come in un'istantanea fotografica, il movimento degli aguzzini: quello a sinistra, contraddistinto da una caratterizzazione facciale estremamente naturalistica, è colto nell'atto di scaricare tutta la forza sul flagello che si schianta sulle carni del Cristo (Fig. 12), mentre quello a destra di caricare al massimo grado il colpo, facendo leva sui piedi e ruotando di tre quarti il busto dalla portentosa vigoria plastica (Fig. 13). A dispetto delle molte ferite sanguinanti del torso, il volto del Salvatore, adagiato al cippo del supplizio, appare imperturbabile (Fig. 14). Nella terza scena, con la croce sulle spalle, Cristo è condotto al monte Calvario (Fig. 15); avvinto al collo da una robusta corda, della quale si distinguono finanche le spire di torsione dei fili (Fig. 16), è accompagnato da uno stuolo di armigeri con morioni, divise, bastoni e vessillo romano con la scritta, ancora leggibile, «SPQR» (Fig. 17); a sinistra, un personaggio femminile nimbato, col capo velato e dall'aria affranta, è da identificare con la Vergine. Anche in questo caso non mancano le suggestioni spaziali, dal corteo che ruota intorno al Cristo alla croce in tralice. Nella quarta e ultima scena Cristo viene deposto dalla croce (Fig. 18); il corpo è ancora fissato al legno, la ferita del costato stilla sangue, un uomo – forse Giuseppe di Arimatea – su di una scala è intento a liberare la mano sinistra (Fig. 19), mentre in basso due grotteschi personaggi si provano a divellere il chiodo dai piedi: il primo prendendolo a martellate da dietro, il secondo tirandolo con tutte le sue forze con una tenaglia, al punto di incurvarsi fino a terra per fare leva (Fig. 20). In ragione di questi elementi, anzitutto per la ferita zampillante del costato, praticata – sulla base del testo evangelico – dopo la morte di Cristo,Footnote 27 è perentorio escludere quanto sostenuto dal Leone de Castris (Reference Leone de Castris1986a: 416): e, sulla scia di questi, da Aceto e Vitolo (Reference Aceto and Vitolo2017, I: 128) circa l'identificazione dell'episodio con un presunto «Inchiodamento alla croce». Il corpo, che ricade perfettamente in asse con la croce, è modellato con grande naturalezza, come si evince dalle forme smagrite, dai capelli e dalla barba ordinati, dalle linee pettorali e sub ascellari in tensione, dall'armonioso tratteggio delle costole, dai fianchi rientranti e dal perizoma dai morbidi ricaschi. Sulla sinistra, accanto alla scala, un soldato di profilo con scudo, spada ed elmo integrale regge la lancia con cui ha trafitto il costato del Salvatore; sulla destra una figura femminile nimbata, col volto caratterizzato naturalisticamente e con una lunga e ondulata chioma, è inginocchiata su una gamba, con braccia distese indietro in segno di dolore, in adorazione del Cristo morto (Fig. 21). È Maria Maddalena, che manifesta tutta la sua disperazione. Al suo fianco un altro soldato, di aspetto gentile e in posa frontale, regge con una mano l'elmo e con l'altra la canna con in cima la spugna imbevuta di aceto (Fig. 22). Si rileva l'assenza, del tutto inconsueta, della figura della Vergine dolente, che – come supposto dall'anonimo revisore – potrebbe essere giustificata dalla presenza della sottostante Annunciata. Come nelle precedenti scene, l'ignoto artefice ha dato prova della propria abilità nella rappresentazione degli effetti prospettici, disponendo su più livelli i singoli personaggi, posizionando la scala in tralice e tracciando di scorcio le braccia della Maddalena. Non c’è dubbio che questo sia l'episodio più interessante di tutto il ciclo in esame sul piano dell’inventio, non solo per la singolare postura del Cristo, con braccia alzate, capo ritto e gambe perpendicolari (si tratta, in realtà, di un tardivo esempio di Christus triumphans),Footnote 28 ma soprattutto perché il suo corpo è ancora integralmente appeso alla croce, che per la sua forma a Y ricorda più un albero che lo strumento del martirio prediletto dai Romani, ed è affiancato dai due personaggi con lancia e spugna di norma assenti nelle rappresentazioni della Deposizione. È come se l'artista avesse voluto fondere in un'unica scena (per insufficienza di spazio o per espressa richiesta del committente?) gli episodi della Crocifissione e della Deposizione, non potendoli rappresentare separatamente. Sotto l'architrave marmoreo, sulle mensole d'imposta, troviamo le due scene minori con l’Angelo annunciante, a sinistra, e l’Annunciata, a destra. L'arcangelo Gabriele, dalle grandi ali ancora spiegate, è inginocchiato su una gamba, con la mano sinistra sorregge lo scettro sormontato dal giglio e con la destra saluta la Vergine (Fig. 23). Quest'ultima, colta di sorpresa dal messaggero celeste, è rivestita del suo caratteristico mantello (il maphorion) e siede su uno scranno volgendo, con aria deferente, il capo in basso a sinistra; le mani sono alzate in direzione della soprastante Deposizione. A destra c’è un personaggio genuflesso e a mani giunte (Fig. 24). Si tratta di un alto prelato, con barba, tonsura, casula con collo ad anello e guanti, in atto di indirizzare lo sguardo verso il soprastante crocifisso. La sua descrizione minuziosa lascia intendere che possa trattarsi di un ritratto, che potrebbe verosimilmente identificare il committente dell'opera. Le mani alzate della Vergine Annunciata manifestano con evidenza la volontà di intercedere presso il figlio in favore del prelato penitente,Footnote 29 sulla cui identità – in mancanza di documenti coevi superstiti – al momento non è possibile azzardare alcuna ipotesi.

Fig. 7. Cristo schernito e spogliato delle vesti, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Fig. 8. Particolare della Fig.7. (T. De Giorgio.)

Fig. 9. Particolare della Fig.7. (T. De Giorgio.)

Fig. 10. Particolare della Fig.7. (T. De Giorgio.)

Fig. 11. Flagellazione, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Fig. 12. Particolare della Fig.11. (T. De Giorgio.)

Fig. 13. Particolare della Fig.11. (T. De Giorgio.)

Fig. 14. Particolare della Fig.11. (T. De Giorgio.)

Fig. 15. Andata al Calvario, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Fig. 16. Particolare della Fig.15. (T. De Giorgio.)

Fig. 17. Particolare della Fig.15. (T. De Giorgio.)

Fig. 18. Deposizione, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Fig. 19. Particolare della Fig.18. (T. De Giorgio.)

Fig. 20. Particolare della Fig.18. (T. De Giorgio.)

Fig. 21. Particolare della Fig.18. (T. De Giorgio.)

Fig. 22. Particolare della Fig.18. (T. De Giorgio.)

Fig. 23. Angelo annunciante, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Fig. 24. Annunciata e presunto offerente, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Dall'attento esame delle Storie della Passione emergono significativi debiti compositivi e stilistici nei confronti della cultura figurativa senese, a livello di assetto iconografico, di caratterizzazione dei personaggi e di organizzazione dello spazio. Prime spie di questo debito, in particolare verso l'innovativo Simone Martini del soggiorno avignonese, sono l'affollamento, lo spiccato senso del movimento e la concitata narratività, insieme alla ricerca della resa tridimensionale delle cose e alla scelta di portare in primo piano le scene a spese del paesaggio. A questo si aggiunga la consistenza salda e tornita delle figure, accentuata dalla politezza del tratto grafico affine al gusto dell'oreficeria, che denota la presa di possesso della realtà da parte dell'anonimo pittore, indulgente in particolari dal forte naturalismo. D'altra parte, come rilevato dal Leone de Castris (Reference Leone de Castris1986a: 417), «sia il patetismo accentuato sia altre caratteristiche […] spingono verso quella realtà più gotica che è solo di Simone Martini fra il polittichetto Orsini, la miniatura del Virgilio e la sinopia di Notre-Dame-des-Doms».

Ma procediamo con ordine all'esame dei singoli casi concreti. Nel Cristo schernito e spogliato delle vesti la varietà delle pose conferisce alla scena un equilibrato effetto corale. Nel trattamento fisionomico dei volti degli aguzzini, nei loro sguardi torvi e accigliati, nell'intensa gestualità delle mani, nell'elegante modellato dei panneggi, nella profondità dei piani e nelle evidenti connessioni con la cultura giottesca si scorgono i tratti distintivi del moderno linguaggio martiniano. A conferma dello sviluppo organico e della continuità dei temi adoperati da Simone e dai suoi «chompagni» di bottega si deve tenere presente che quell'attenzione per la resa veritiera della storia sacra, che li condusse ad approfondire la descrizione psicologica dei singoli personaggi, si era manifestata già tra 1315 e 1317, quando erano attivi nella cappella di San Martino della basilica inferiore di San Francesco ad Assisi (anni in cui Simone era impegnato anche con la Maestà del Palazzo Pubblico di Siena e col San Ludovico di Tolosa di Capodimonte) (Aceto, Reference Aceto, D'Urso, Perriccioli Saggese and Solvi2017, con bibliografia precedente). Nell'episodio con la Flagellazione il modo di rappresentare Cristo legato per i polsi a un'esile e alta colonna è di concezione tipicamente senese; si pensi, infatti, alla tavola di analogo soggetto dipinta da Guido da Siena intorno al 1270 e conservata al Lindenau-Museum di Altenburg, che sul corpo del Redentore mostra – come nel nostro caso – le ferite inferte dai flagelli (Fig. 25) (Garrison, Reference Garrison1949: n.662; Giorgi, Reference Giorgi and Bagnoli2003: 50-55). Il successo di questo motivo iconografico è attestato anche dalla tavola di Ugolino di Nerio della Gemäldegalerie di Berlino, databile tra 1320 e 1325 (Fig. 26), e dall'affresco attribuito al fantomatico Barna da Siena,Footnote 30 nella collegiata di Santa Maria Assunta a San Gimignano (Bagnoli, Reference Bagnoli2009). A favore della piena conoscenza da parte del nostro artista delle novità giottesche depone l'acuto tre quarti in rotazione. Nell’Andata al Calvario l'impianto compositivo riecheggia da vicino quello delle tavole di analogo soggetto dipinte a Siena, a partire dalla prima metà del Trecento, dai Memmi e, in special modo, da Ugolino di Nerio. Il paragone con lo scomparto di predella della pala dell'altare maggiore di Santa Croce a Firenze di Ugolino, databile intorno al 1320–1325 e conservato alla National Gallery di Londra, si fa del tutto stringente: affine è il modo di concepire la scena, di disporre i personaggi, di articolare i gesti, di panneggiare e di descrivere con minuzia singoli particolati come le armature, gli elmi o la corda annodata al collo di Cristo (Fig. 27) (Gordon, Reference Gordon2011: NG 1189).Footnote 31 Nella silhouette snella e allungata della Vergine, che intesse un muto e angoscioso dialogo col figlio, si riconoscono le slanciate ed eleganti fisionomie delle figure femminili dolenti dipinte dai pittori ducceschi, che tanto successo ebbero tra gli scultori lignei senesi a partire dalla prima metà del XIV secolo nella resa del soggetto dell’Annunciata. I morioni ricalcano quelli dipinti da Simone Martini nell'episodio della Rinuncia alle armi della cappella di San Martino nella basilica inferiore di Assisi; anche Duccio fa ampio ricorso a questa tipologia di elmi nella Maestà dell'Opera del Duomo di Siena, ma la traduzione prospettica che ne offre è ben distante dai pregevoli esiti raggiunti dal suo celebre allievo. Nell'episodio con la Deposizione i personaggi, ancora una volta, risentono fortemente dello stile martiniano. La Maddalena che, ai piedi del Crocifisso, distende disperata le braccia all'indietro (le origini compositive di questa figura di stile vanno rintracciate nel san Giovanni del Compianto sul Cristo morto dipinto da Giotto tra 1303 e 1305 sulle pareti della cappella degli Scrovegni)Footnote 32 ci consente di istituire utili confronti con il medesimo personaggio che nelle tavolette con le Storie della Passione del cosiddetto «Polittico Orsini» di Simone Martini (la cui datazione, a tutt'oggi, è tra le più problematiche del catalogo martiniano e non trova concorde la critica)Footnote 33 è rappresentato per ben tre volte con una lunga chioma ondulata e con le mani al cielo in segno di disperazione. Il soldato alle spalle della Maddalena, che regge la canna con la spugna imbevuta di aceto, riecheggia nella resa plastica del corpo, nel panneggio e nei lineamenti del volto dall'espressività gentile, con labbra pronunciate, naso allungato e capigliatura con lieve stempiatura, i tratti dei tipici personaggi martiniani, in particolare del San Luigi di Francia e del Sant'Enrico di Ungheria affrescati rispettivamente nel sottarco della cappella di San Martino e sulla parete di fondo del braccio destro del transetto della basilica inferiore di Assisi e, ancor più, del Sant'Ansano del Metropolitan Museum, da riferire attorno al 1320 (Pierini, Reference Pierini2000: 122). I due goffi personaggi intenti a estrarre il chiodo dalle carni di Cristo, invece, richiamano alla mente gli atteggiamenti del giovane che assolve lo stesso compito nella Deposizione dalla croce del «Polittico Orsini» (Fig. 28) e del contadino e del pastore miniati, tra terzo e quarto decennio del Trecento, da Simone nell’Allegoria Virgiliana della Biblioteca Ambrosiana di Milano, in cui il primo è ritratto in atto di potare le viti con un grosso coltello e il secondo di mungere, seduto a terra, pecore e capre (per quanto diverse siano espressività e mansioni dei personaggi, identico è il loro dinamismo, Fig. 29). Nella scena minore con l’Annunciazione con offerente gli indirizzi di stile sono inquadrabili con evidenza sempre all'interno di quelli maturati in ambito senese. La posa della Vergine, con entrambe le mani sollevate, è frutto di un'originale interpretazione del tema mentre la scomposizione del motivo iconografico testimonia dell'abilità dell'artista nell'aggirare gli ostacoli imposti dalle mensole dell'architrave.

Fig. 25. Guido da Siena, Flagellazione, tempera e oro su tavola, Altenburg, Lindenau-Museum. (Wikimedia, pubblico dominio.)

Fig. 26. Ugolino di Nerio, Flagellazione, tempera e oro su tavola, Berlino, Staatliche Museen Gemäldegalerie. (Wikimedia, © Sailko.)

Fig. 27. Ugolino di Nerio, Andata al Calvario, tempera e oro su tavola, Londra, National Gallery. (Wikimedia, © Sailko.)

Fig. 28. Simone Martini, Deposizione dalla croce, tempera e oro su tavola, Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunster. (Wikimedia, pubblico dominio.)

Fig. 29. Simone Martini, Allegoria virgiliana, miniatura, dal Vergilius cum notis Petrarcae, MS Ambrosiano A79 inf. (ex S.P. 10/27), c.1v. Milano, Biblioteca Ambrosiana. (Wikimedia, pubblico dominio.)

Ma veniamo ora alla forma a Y della croce nell'episodio con la Deposizione. Tale conformazione, che vincola Cristo a essere crocifisso con le braccia tese in alto, ebbe grande fortuna nell'ambiente artistico senese. Ad attestarlo sono alcuni notevoli esempi duecenteschi, quali la Crocifissione scolpita da Nicola Pisano per il pulpito della cattedrale (1265–1268) e il Crocifisso intagliato da suo figlio Giovanni – secondo Seidel (Reference Seidel1971: 22) nel decennio 1270–1280, secondo Carli (Reference Carli1979: 55-56) intorno al 1285 – e conservato nel museo dell'Opera del Duomo, e trecenteschi, quali la tavola con la Crocifissione con san Francesco di Ugolino di Nerio della Pinacoteca Nazionale (1315–1320)Footnote 34 e l'anonima Crocifissione incisa su una lastra di marmo proveniente dalla chiesa di San Pellegrino alla Sapienza e attualmente esposta in Pinacoteca (1310–1320) (Cioni, Reference Cioni and Bagnoli2003: 508–11). Le ragioni per cui nella seconda metà del Duecento, e non prima, Cristo inizia a essere rappresentato crocifisso su un albero dall'insolita forma di Y sono da rintracciare nell'istituzione nel 1264 a Orvieto della solennità del Corpus Domini (Francovich, Reference Francovich1938; Bergmann, Reference Bergmann2001; Hoffmann, Reference Hoffmann2006: 95–8, 107–124). Prima ancora dei componimenti redatti da Tommaso d'Aquino su richiesta di papa Urbano IV (1261–1264), furono le esortazioni agostiniane ad assegnare alla croce di Cristo le sembianze di un albero. Nel De cataclysmo, discorso di carattere polemico contro le correnti ereticali del tempo, il vescovo di Ippona istituisce un'interessante correlazione tra la radice di Jesse (Is. 11,1) e l'albero della croce, sostenendo che questo sia «fiorito» da quella: «Ipsa illa virga crux, ipsa illa virga quae floruit ex radice Jesse» (PL XL: col. 696). Nelle Enarrationes in psalmos Agostino sviluppa ulteriormente il concetto. Sulla radice ebraica di Jesse, simbolo della regale predestinazione genealogica del Messia, si è innestato l'albero del cristianesimo, dal quale sono stati spezzati i rami colpevoli di infedeltà: «Ergo de radice Patriarcharum dicit fractos quosdam ramos propter infidelitatem» (PL XXXVI: col. 915). Ne consegue non solo la stretta connessione tra i due simboli cristologici della radice di Jesse e dell'albero della croce, ma anche che la raffigurazione di quest'ultimo nelle Storie della Passione doveva avere lo scopo di esaltare la centralità del “frutto” eucaristico per l'umana salvezza. Ipotesi confortata dalla presenza del ritratto del presunto committente ecclesiastico con sguardo supplice in direzione del Cristo crocifisso, dalla stessa destinazione funeraria della cappella, al cui interno si svolgeva regolare celebrazione del rito eucaristico «pro animabus» dei vescovi sepolti, e dalla funzione di sacrestia del piccolo vano, sulla cui porta di ingresso campeggia il nostro monocromo, dove il sacerdote indossava i paramenti liturgici e si predisponeva a presiedere il sacrificio eucaristico «in persona Christi».

Assunto che, sulla base delle valutazioni fin qui condotte, le Storie della Passione napoletane trovano nella produzione martiniana il loro più valido termine di paragone, non resta che esaminare le opere del periodo avignonese di Simone, iniziato entro il 1336, per vagliare il grado di rapporto con esse. Cominciamo col dire che nel secondo quarto del Trecento, vale a dire quando Benedetto XII (1334–1342), subito dopo la sua elezione al soglio petrino, manifestò l'urgenza di una degna e imponente dimora per il pontefice, nel cantiere del Palais des Papes di Avignone, e più in generale nella Francia meridionale, si faceva sempre più pressante la richiesta di repertori figurativi che, nel restituire con grande efficacia i moti interiori dell'animo attraverso un'intensa indagine psicologica, fossero in grado di esaltare – come tipico dell'arte gotica d'Oltralpe – la linea sinuosa delle figure, con un'attenzione specifica allo stile raffinato prediletto negli ambienti cortesi provenzali. L’Allegoria virgiliana (Fig. 29), gli affreschi dell'atrio della cattedrale di Notre-Dame-des-Doms di Avignone (Fig. 30) e il Ritorno di Gesù dal tempio (Fig. 31) sono le opere certe che Simone Martini realizzò in Provenza, indispensabili per l'individuazione dei suoi tardi caratteri stilistici. Nella prima, miniata tra 1338 e 1341 su un codice contenente le opere di Virgilio commentate dal grammatico latino Mario Onorato Servio di proprietà di Francesco Petrarca, Simone rinuncia a quei valori di spazialità presenti nelle opere del periodo senese in favore di una composizione prettamente narrativa, che nelle linee falcate dei personaggi, nell'articolato dinamismo espressivo e nella raffinatezza dei particolari consente di intravedere i prodromi del gotico internazionale. Le posture arcuate di Enea e di Servio, insieme alla minuziosa descrizione della scena idilliaca, denotano la piena assimilazione da parte dell'artista dei modi della tradizione gotica d'Oltralpe, che verranno riproposti negli affreschi con l’Eterno benedicente e con la Madonna dell'umiltà col Bambino, gli angeli e il committente Jacopo Stefaneschi (Capron, Reference Capron2017, con bibliografia precedente), databili fra il 1340 e il 1343 e conservati nel Musée du Palais des Papes di Avignone. Il ciclo ad affresco, oggi pressoché perduto, testimonia della libertà della tradizione gotica, che portò Simone a ritrarre il cardinale Stefaneschi con estrema fedeltà al dato naturale e a formulare il nuovo tipo iconografico della Madonna dell'umiltà, con la Vergine seduta su di un cuscino posato direttamente a terra. L'iconografia, che tanta fortuna ebbe nell'Europa mediterranea da essere impiegata per la rappresentazione della Madonna, con e senza Bambino, la si ritrova nel Ritorno di Gesù dal tempio della Walker Art Gallery di Liverpool, unica opera avignonese firmata e datata da Simone (1342). L'inusuale soggetto del colloquio tra Cristo bambino e i genitori palesa l'innovativo modo di descrivere i vincoli d'affetto tra i personaggi attraverso la loro intensa espressività facciale e gestuale: lampante è il contrasto tra gli atteggiamenti contrariati di Giuseppe, dalla postura ricurva simile a quella dell'Enea del codex ambrosiano, e di Maria, seduta in posa “umile” sul cuscino a terra, e quello indifferente alla paternale del fanciullo divino.

Fig. 30. Simone Martini, Madonna dell'umiltà col Bambino, gli angeli e il committente Jacopo Stefaneschi, affresco e sinopia, in deposito da Notre-Dame-des-Doms, Avignone, Musée du Palais des Papes. (Flickr, Rfzappala.)

Fig. 31. Liverpool, Walker Art Gallery, Simone Martini, Ritorno di Gesù dal tempio, tempera e oro su tavola. (Wikimedia, Google Art Project, pubblico dominio.)

Dopo aver passato in rassegna le opere di sicura matrice provenzale di Simone si comprenderanno meglio le ragioni per cui le Storie della Passione manifestano – come rilevato da Leone de Castris (Reference Leone de Castris1986a: 416-17) e da Bologna (Reference Bologna and Romanini1991) – riflessi stilistici avignonesi, riscontrabili nelle linee rabescate, nell'efficacia narrativa e nella piena trasposizione pittorica dei caratteri fisiognomici individuali, dei moti psicologici e dei vincoli affettivi. Alla luce delle valutazioni fin qui condotte, appare verosimile ritenere che per un artista operante nel cantiere di Avignone, specie se dotato come il nostro, fare sfoggio nella capitale angioina delle più aggiornate formule stilistiche dovesse rappresentare un'opportunità da cogliere al volo.

Al termine della nostra disamina potremmo essere tentati, in virtù dell'alta qualità dell'opera e dei raffronti positivi con il corpus martiniano, dall'assegnare un nome all'anonimo artista, che ci limiteremo a chiamare «maestro delle Storie della Passione del duomo di Napoli». Quel che per certo possiamo dire è che si tratta di un valente artista che ha conosciuto per via diretta la cultura duccesca delle origini, che ha avuto modo di apprendere le novità di Giotto, che ha aderito al gusto più moderno della pittura martiniana, che era al corrente delle diverse esperienze senesi e avignonesi e che negli anni trenta e quaranta del Trecento (per quanto la datazione del monocromo non possa essere assestata sulla solida base di documenti coevi superstiti) potrebbe aver operato al servizio della corte angioina o della curia napoletana, durante l'episcopato di Giovanni Orsini (1327–1358).

Footnotes

Desidero esprimere la mia gratitudine al comitato scientifico dei Papers of the British School at Rome e in particolare ad Alison Cooley. Ringrazio altresì per la preventiva lettura del presente contributo e per i preziosi consigli Valentino Pace e per gli stimolanti suggerimenti e le acute osservazioni critiche gli anonimi revisori. Un sentito ringraziamento esprimo, infine, al parroco del duomo napoletano don Vincenzo Papa e alla sua assistente Ida Ferrante per la gentilezza e la disponibilità manifestate nei miei confronti.

2 Il Sersale sostiene che dell'antica Stefania sopravvivano la cappella in esame e quella divenuta di proprietà della famiglia Minutolo. Cf. Summonte, Reference Summonte1675, II: 380; Strazzullo, Reference Strazzullo1959: 138.

3 Galante, Reference Galante1873: 20 ascrive l'erezione della cappella intorno o entro il 1314, mentre Rolfs, Reference Rolfs1910: 31 tra il 1310 e il 1318. Sulla topografia del duomo napoletano, Lombardo di Cumia, Reference Lombardo di Cumia2011; Lucherini, Reference Lucherini2009a: 215–16.

4 Nelle sessantaquattro Constitutiones diocesane emanate nel 1337 dall'arcivescovo Giovanni Orsini (1327–1358), ma in realtà compilate da Humbert d'Ormont venti anni prima, la cappella è chiamata «di San Paolo», mentre negli atti della santa visita del cardinale Alfonso Carafa (1540–1565), al 1557, è denominata «de Umbertis», cf. Napoli, Archivio Storico Diocesano, Fondo Miscellanea Chiese, Atti di S. Visita di Alfonso Carafa I; Mallardo, Reference Mallardo1952; De Maio, Reference De Maio1958; Reference De Maio1959.

5 Per l'identificazione dello stemma della famiglia d'Ormont (scudo a banda trasversa con tre conchiglie) si rimanda al repertorio manoscritto della fine del XVI-inizio del XVII secolo conservato nella Biblioteca nazionale di Napoli: MS Branc. II A 7, fol. 92 (= fol. 95r.). Cf. inoltre: Bertaux, Reference Bertaux1889: 15; Romano, Reference Romano, Romano and Bock2002: 19, n.39.

6 Il Chioccarello, Reference Chioccarello1643: 162, 178, 198 sgg., così descrive il monumento: «Ad Ayglerium quoque eius praedecessorem, et concivem Humbertus oculos convertens, sumptuosum et marmoribus musivo opere digestum sepulchrum optavit, et in maiori ecclesia in ipsius Humberti sacello, quod Paulo Apostolo dicatum est, collocavit […] ferreis cancellis deauratis ante eius sepulchrum appositis». Cf. D'Engenio Caracciolo, Reference D'Engenio Caracciolo1623: 31; Summonte, Reference Summonte1675: 238, 380; Parascandolo, Reference Parascandolo1847–1851, III: 89; Strazzullo, Reference Strazzullo1959: 172.

7 Si riporta la descrizione del Chioccarello, Reference Chioccarello1643: 198: «Innocentii insuper quarti Romani Pontificis corpus obscuro in loco, et minus digno tanto Pontifice, iacere cernens, in marmoreum sublime sepulchrum musivo opere compactum in maiori ecclesia collocavit, atque leoninis versibus inscriptionem apposuit». Cf. D'Engenio Caracciolo, Reference D'Engenio Caracciolo1623: 28; Summonte, Reference Summonte1693, II: 379; Sersale, Reference Sersale1745: 20; Bertaux, Reference Bertaux1889: 112; Reference Bertaux1904: 614; Strazzullo, Reference Strazzullo1959: 171.

8 Scrive il Chioccarello, Reference Chioccarello1643: 201-2: «Sepultus est in suo sacello, cumque aliis sepulchra liberaliter atque satis honorifice construxisset, Sancto nempe Romano Pontifici, atque Archiepiscopo eius concivi, et praedecessori, sibi tamen minime paravit, attamen Clerus ad boni pastoris nomen posteris tradendum inscriptionem hanc in eius sacello»; Summonte, Reference Summonte1693: 383. Cf. Bertaux, Reference Bertaux1889: 113; Strazzullo, Reference Strazzullo1959: 172. Serena Romano considera «un mero topos il fatto che l'arcivescovo abbia voluto per sé una semplice lastra tombale», v. Romano, Reference Romano, Romano and Bock2002: 12.

9 Lucherini, Reference Lucherini and Alcoy2009b: 213, n.69. Sui monumenti sepolcrali della cappella d'Ormont si veda anche Pace, Reference Pace and Schmid2000: 42–3.

10 L'attribuzione al cosiddetto Lello da Orvieto è stata accolta anche dalla storiografia successiva: Leone de Castris, Reference Leone de Castris1986a: 266–72; Leone de Castris, Reference Leone de Castris and Castelnuovo1986b: 479–81; Romano, Reference Romano and Michalsky2001: 191–224. Sulla figura del cosiddetto Lello da Orvieto si segnala in particolare: Lucherini, Reference Lucherini and Alcoy2009b: 185–215. Nel 2004 La Paone, Reference Paone2004 ha riferito l'affresco alla bottega di Donnaregina.

11 Sulla predella si vedano: D'Engenio Caracciolo, Reference D'Engenio Caracciolo1623: 28; Chioccarello, Reference Chioccarello1643: 201; Summonte, Reference Summonte1693: 383; Venturi, Reference Venturi1907 vol.5: 634; Morisani, Reference Morisani1947: 148–9, n.3; Bologna, Reference Bologna1969: 127, 143, n.73. È interessante leggere quanto scrive Stefano D'Ovidio, Reference D'Ovidio and Foletti2013 a proposito dei ritratti episcopali.

12 L'attribuzione a Lello da Orvieto è stata accettata anche dalla storiografia successiva: Leone de Castris, Reference Leone de Castris1986a: 267; Leone de Castris, Reference Leone de Castris and Di Maggio1990. Sulla provenienza della tavola funeraria dalla cappella degli Illustrissimi si vedano: D'Engenio Caracciolo, Reference D'Engenio Caracciolo1623: 28; Chioccarello, Reference Chioccarello1643: 201; Summonte, Reference Summonte1693: 383. Per la storia attributiva dell’Albero di Jesse e della tavola funeraria v. Morisani, Reference Morisani1947: 72–3 e 148–9; Toesca, Reference Toesca1951, vol.2: 687–8; Romano, Reference Romano and Michalsky2001: 191–7. Vinni Lucherini, Reference Lucherini and Alcoy2009b: 213-5 sostiene l'impossibilità, di contro all'opinione comunemente accolta dalla storiografia, che l'affresco con l’Albero di Jesse e la tavola funeraria del d'Ormont possano essere riferiti alla medesima mano. La studiosa ritiene, inoltre, che la tavola debba essere posta in diretto contatto con il San Ludovico di Tolosa dipinto da Simone Martini. In questa sede si è propensi ad accogliere la tesi della Lucherini.

13 Per la descrizione dettagliata della pala d'altare si veda De Dominici, Reference De Dominici1742–3 vol.1: 173.

14 Sempre nella Bibbia di Lovanio, nel capolettera del foglio 249 (recto), Jesse è palesemente effigiato, oltre che come antenato di tutti i re di Giuda e del Messia, come capostipite degli stessi angioini, i cui gigli dorati campeggiano sul drappo su cui è adagiato il patriarca biblico. V. Cantera, Reference Cantera1890: 10–20; Manna, Reference Manna2001: 8–9, 59, 88; Periccioli Saggese, Reference Periccioli Saggese and Quintavalle2008: 633–4; Tomei, e Paone, Reference Tomei, Paone, Watteeuw and Wan der Stock2010: 62–9; D'Alberto, Reference D'Alberto, Corso, Cuccaro and D'Alberto2012: 158.

15 Di Stefano, Reference Di Stefano1560: fol. 11v. Cf. inoltre De Dominici, Reference De Dominici1742–3: 63. Dell'attuale monumento funebre di Innocenzo IV, la cui composizione risale al primo Cinquecento, il gisant è da ritenersi spurio e solo il fronte con la decorazione musiva risale al tempo del d'Ormont; il resto è frutto di assemblaggi successivi. Per un'esauriente bibliografia sul monumento funebre di Innocenzo IV si veda: Strazzullo, Reference Strazzullo1965: 77–8, n.96. Si veda inoltre: Ladner, Reference Ladner1970 vol.2: 123; Lucherini, Reference Lucherini and Alcoy2009b: 213.

16 La tomba del d'Ormont, molto probabilmente, venne distrutta, giacché le premure del Carafa furono rivolte alla conservazione delle ossa del suo predecessore; nonostante il De Maio ritenga trattarsi della tomba di Ayglerius, appare del tutto condivisibile l'opinione dello Strazzullo, che ritiene invece trattarsi della sepoltura del d'Ormont, molto più semplice rispetto a quella di Ayglerius, descritta negli atti della santa visita di Mario Carafa come «Sumptuosum et marmoribus musivo opere digestum sepulchrum», cf. Napoli, Archivio Storico Diocesano, Fondo Miscellanea Chiese, Liber introitus capsae sacri Aerarii Ecclesiae Cathedralis Neap. A.D. 1581–1586, Atti di S. Visita di Mario Carafa II, fol. 117f.; De Maio, Reference De Maio1958: 161; Strazzullo, Reference Strazzullo1959: 172. Riguardo alla tavola funeraria del d'Ormont, era ancora nella cappella di San Paolo al tempo del Chioccarello («Humberti tandem integrum simulachrum in eius sacelli parietibus depictum cernitur»). In seguito fu trasferita nel palazzo del seminario, per la precisione nella camerata della beata Vergine. Attualmente il ritratto funerario del d'Ormont è conservato nel museo Diocesano di Napoli. Cf. Chioccarello, Reference Chioccarello1643: 202; Sparano, Reference Sparano1768: 9.

17 Napoli, Archivio Storico Diocesano, Fondo Miscellanea Chiese, Liber introitus capsae sacri Aerarii Ecclesiae Cathedralis Neap. A.D. 1581–1586, Atti di S. Visita di Mario Carafa I: fol. 22v. Cf. inoltre Strazzullo, Reference Strazzullo1965: 76.

18 «Eadem die [31 gennaio 1580] accesserunt ad visitandam cappellam sub invocatione S.ti Pauli de Umbertis, ubi ad presens exercetur officium sacristie ditte majoris ecclesie», v. Napoli, Archivio Storico Diocesano, Fondo Miscellanea Chiese, Liber introitus capsae sacri Aerarii Ecclesiae Cathedralis Neap. A.D. 1581–1586, Atti di S. Visita (Annibale di Capua) I: fol. 14v. Cf. inoltre De Maio, Reference De Maio1958: 161. Dal Liber visitationis dell'arcivescovo Francesco Carafa (1530–1544) si ricava che la cappella fungesse da sacrestia già dalla prima metà del XVI secolo: «Visitando accessit ad cappellam sub invocatione Sancti Pauli, in qua fit, seu exercetur offitium sacristie», v. Illibato, Reference Illibato1983: 7.

19 «Fuit per dominum Annibalem Archiepiscopum concessa predittae familiae de Loffredis. Ibidem per prius exercebatur officium Sacristiae. Ad presens autem est ad usum cappellae Siminarij», v. Napoli, Archivio Storico Diocesano, Fondo Miscellanea Chiese, Liber introitus capsae sacri Aerarii Ecclesiae Cathedralis Neap. A.D. 1581–1586, Atti di S. Visita (Annibale di Capua) I: fol. 789v. (Brevis enarratio Status Metropolitanae de anno 1582). Cf. inoltre Strazzullo, Reference Strazzullo1959: 173; Strazzullo, Reference Strazzullo1965: 75, 78.

20 Del monumento di Ayglerius si conserva un disegno eseguito prima della demolizione e pubblicato da Delfino, Reference Delfino and Di Mauro1991. Cf. inoltre Enderlein, Reference Enderlein1997: 39, n.65.

21 Il De Dominici Reference De Dominici1742–3, II: 404 sostiene che il trittico in origine fosse coronato da un dipinto, di mano sempre del Santoro, col Padre Eterno. Per quanto attiene alla datazione del trittico (sulla superficie pittorica della data si distingue solo «160»), Sparano, Reference Sparano1768: 9 propende per il 1600, mentre Loreto, Reference Loreto1849: 99 per il 1605. Sulle pareti laterali della nicchia vennero affrescati dal pittore fiorentino Giovanni Balducci cinque episodi della vita della Vergine: Nascita, Presentazione, Purificazione, Annunciazione e Incoronazione.

22 La Congregazione delle Apostoliche Missioni venne fondata nel 1646 dal canonico Sansone Carnevale sotto il titolo di «Santa Maria Regina degli Apostoli», cf. Strazzullo, Reference Strazzullo1959: 172–3. A proposito della Congregazione, si veda Regulae clericorum secularium Congregationis apostolicarum missionum sub patrocinio S. Mariae Reginae Apostolorum in ecclesia cathedrali Neapolitana erectae (1689) Napoli, Nova officina sociorum; Parrino e Mutii, Reference Parrino and Mutii1768; Sparano, Reference Sparano1768: 1–47, 233–5. Sul canonico Sansone Carnevale, si veda Capialbi da Montelione, Reference Capialbi da Montelione, Martuscelli, Morelli and Panvini1826.

23 Nel corso dei suddetti restauri, all'interno del vano già adibito a sacrestia con accesso dalla porta nord è stato installato un ascensore.

24 Sull'argomento si veda Casaburo, Reference Casaburo2017. Giorgio Vasari dedica un capitolo delle sue Vite all'argomento: Del dipingere in pietra a olio, e che pietre siano buone, cf. Bettarini e Barocchi, Reference Bettarini and Barocchi1966 I: 137–8.

25 Della Bible Moralisée e del Codice di S. Giorgio de Castris non fa riferimento a singoli fogli contenuti al loro interno, ma parla lato sensu.

26 Ringrazio per la preziosa segnalazione l'anonimo revisore dei Papers of the British School at Rome.

27 Cf. Gv 19, 33–34: «Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua».

28 Altro tardivo esempio di Christus triumphans è rintracciabile nella Croce dipinta di Duccio di Buoninsegna della collezione Salini a Siena, v. Bellosi, Reference Bellosi and Bagnoli2003: 158. Sui crocifissi d'età romanica in area campana si veda D'Ovidio, Reference D'Ovidio2014.

29 Di questo parere è Valentino Pace, che mi ha espresso tale opinione tramite comunicazione orale.

30 Moran, Reference Moran1976 e Caleca, Reference Caleca1976 hanno proposto di trasferire le opere tradizionalmente attribuite a Barna a Tederigo Memmi; tale proposta venne in seguito accolta da Volpe, Reference Volpe1976, Reference Volpe and Chelazzi Dini1982 e da Leone de Castris, Reference Leone de Castris2007.

31 Dalla precedente bibliografia segnalo Berenson, Reference Berenson1932: 582; Coor-Achenbach, Reference Coor-Achenbach1955.

32 Per la sua efficacia, questa figura di stile venne ripresa anche dalla bottega di Giotto nell'episodio con la Strage degli Innocenti, dipinto nel transetto destro della basilica inferiore di San Francesco ad Assisi.

33 Per un compendio esaustivo delle ipotesi di datazione del Polittico Orsini, da Pierini riferito al 1320, da Leone de Castris alla metà del 1330 (prima della partenza di Simone per Avignone) e da Bologna al periodo avignonese dell'artista, si vedano: Pierini, Reference Pierini2000: 213; Leone de Castris, Reference Leone de Castris2007: 362–3.

34 Van Marle, Reference Van Marle1924, II: 121, 125; Brandi, Reference Brandi1933: 301–2, n.34; Galli, Reference Galli and Bagnoli2003: 376–78. Per la datazione dell'opera: Stubblebine, Reference Stubblebine1979, I: 159; Boskovits, Reference Boskovits1990: 222.

References

Abbreviazioni Bibliografiche

PL Migne, J.-P. (a cura di) (1844–55) Patrologiae Cursus Completus. Series Latina. Parisiis, Apud Garnieri Fratres.Google Scholar

Bibliografia

Aceto, F. (2017) Per Simone Martini pittore: ancora sull'iconografia del “San Ludovico” del Museo di Capodimonte a Napoli. In D'Urso, T., Perriccioli Saggese, A., Solvi, D. (a cura di), Da Ludovico d'Angiò a san Ludovico di Tolosa: i testi e le immagini, Atti del convegno internazionale di studio per il VII centenario della canonizzazione 1317–2017 (Napoli-S. Maria Capua Vetere, 3–5 novembre 2016): 33–50. Spoleto, Fondazione CISAM.Google Scholar
Aceto, F. e Vitolo, P. (a cura di) (2017) Architettura e arti figurative di età gotica in Campania I. Battipaglia, Laveglia&Carlone.Google Scholar
Bacco, E. e D'Engenio Caracciolo, C. (1616) Guida di Napoli. Napoli.Google Scholar
Bagnoli, A. (2009) (a cura di) La collegiata di San Gimignano. L'architettura, i cicli pittorici murali e i loro restauri. Colle Val d'Elsa, Protagon Editori Toscani.Google Scholar
Bellosi, L. (2003) Duccio di Buoninsegna: Croce dipinta. In Bagnoli, A. et al. (a cura di) Duccio. Siena fra tradizione bizantina e mondo gotico: 158–61. Milano, Silvana Editoriale.Google Scholar
Berenson, B. (1932) Italian Pictures of the Renaissance: a list of the principal artists and their works, with an index of places. Oxford, The Clarendon Press.Google Scholar
Bergmann, U. (a cura di) (2001) Neue Forschungen zur gefassten Skulptur des Mittelalters. Die gotischen Crucifixi dolorosi, Atti del convegno di studi (Colonia, 26 novembre 1999). München, Siegl.Google Scholar
Bertaux, E. (1889) Santa Maria di Donna Regina e l'arte senese a Napoli nel sec. XIV. Napoli, R. stabilimento tipografico Francesco Giannini e figli.Google Scholar
Bertaux, E. (1904) Art dans l'Italie méridionale. Paris, Albert Fontemoing.Google Scholar
Bettarini, R. e Barocchi, P. (a cura di) (1966) G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori I. Firenze, Sansoni.Google Scholar
Bock, N. (2002) I re, i vescovi e la cattedrale: sepolture e costruzione architettonica. In Romano, S. e Bock, N. (a cura di), Il duomo di Napoli dal paleocristiano all'età angioina, Atti della I giornata di studi su Napoli (Losanna, 23 novembre 2000): 132–47. Napoli, Electa Napoli.Google Scholar
Bologna, F. (1969) I pittori alla corte angioina di Napoli (1266–1414): e un riesame dell'arte nell'età fridericiana. Roma, U. Bozzi.Google Scholar
Bologna, F. (1988) Un'aggiunta a Lello da Orvieto. In Leone de Castris, P. (a cura di), Scritti di Storia dell'arte in onore di Raffaello Causa: 4751. Napoli, Electa Napoli.Google Scholar
Bologna, F. (1991) s.v. Angioini, pittura e miniatura. In Romanini, A.M. (ed.) Enciclopedia dell'arte medievale I (Aaland-Anima): 687. Roma, Istituto della Enciclopedia italiana.Google Scholar
Bologna, F. e Doria, G. (a cura di) (1954) Mostra del ritratto storico napoletano. Napoli, Ente provinciale per il turismo.Google Scholar
Boskovits, M. (1990) The Thyssen-Bornemisza Collection. Early Italian Painting. 12901470. London, Sotheby's Publications.Google Scholar
Brandi, C. (1933) La Regia Pinacoteca di Siena. Roma, La Libreria dello Stato.Google Scholar
Bruzelius, C. (2005) Le pietre di Napoli. L'architettura religiosa nell'Italia angioina, 12661343. Roma, Viella.Google Scholar
Caleca, A. (1976) Tre polittici di Lippo Memmi. Un'ipotesi sul Barna e la bottega di Simone e Lippo. Critica d'Arte 22: 4959.Google Scholar
Cantera, B. (1890) L'edificazione del Duomo di Napoli al tempo degli Angioini. Valle di Pompei, Società tipografica editrice Bartolo Longo.Google Scholar
Capialbi da Montelione, V. (1826) s.v. Sansone Carnevale. In Martuscelli, D., Morelli, N., Panvini, P. (a cura di), Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, ornata de loro rispettivi ritratti XI: 345. Napoli, Nicola Gervasi.Google Scholar
Capron, E. (2017) Simone Martini's last documented work. The Burlington Magazine 1366–159: 413.Google Scholar
Carli, E. (1979) Il Duomo di Siena. Genova, Sagep.Google Scholar
Casaburo, M. (2017) Pittura su pietra. Diffusione, studio dei materiali, tecniche artistiche. Firenze, Nardini Editore.Google Scholar
Celano, C. (1970) Notizie del bello dell'antico e del curioso della città di Napoli. Napoli, Edizioni dell'Anticaglia.Google Scholar
Chioccarello, B. (1643) Antistitum praeclarissimae Neapolitanae ecclesiae catalogus ab Apostolorum temporibus ad hanc usque nostram aetatem, et ad annum 1643. Auctore Bartholomaeo Chioccarello I.C. Neapolitano. Napoli, Typis Francisci Sauij.Google Scholar
Cioni, E. (2003) Artista senese dei primi decenni del Trecento: Crocifissione. In Bagnoli, A. et al. (a cura di) Duccio. Siena fra tradizione bizantina e mondo gotico: 508–11. Milano, Silvana Editoriale.Google Scholar
Coor-Achenbach, G. (1955) Contributions to the study of Ugolino di Nerio's art. The Art Bulletin 37: 153–65.Google Scholar
D'Alberto, C. (2012) La Madonna del Principio in Santa Restituta: il culto eziologico della cattedrale angioina. In Corso, G., Cuccaro, A. e D'Alberto, C. (a cura di), La basilica di Santa Restituta a Napoli e il suo arredo medievale: 143–74. Pescara, ZIP Editore.Google Scholar
D'Engenio Caracciolo, C. (1623) Napoli sacra. Napoli, Ottauio Beltrano.Google Scholar
De Dominici, B. (1742–3) Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani I. Napoli, Stamperia del Ricciardi.Google Scholar
Delfino, A. (1991) Il monumento dell'arcivescovo Ayglerio scomparso dal Duomo di Napoli. In Di Mauro, L. (a cura di), Scritti di storia dell'arte per il settantesimo dell'Associazione napoletana per i monumenti e il paesaggio: 1920–1990: 3741. Napoli, Arte tipografica.Google Scholar
De Maio, R. (1958) Le origini del seminario di Napoli (Contributo alla Storia Napoletana del Cinquecento). Napoli, F. Fiorentino.Google Scholar
De Maio, R. (1959) Il cardinale Giulio Santori e la riforma del Capitolo napoletano nel sec. XVI. Asprenas 6: 219–30.Google Scholar
Di Stefano, P. (1560) Descrittione de i luoghi sacri della città di Napoli. Napoli, Raymondo Amato.Google Scholar
D'Ovidio, S. (2013) Devotion and memory: episcopal portraits in the catacombs of San Gennaro in Naples. In Foletti, I. (a cura di), The face of the dead and the early Christian world: 85106. Roma, Viella.Google Scholar
D'Ovidio, S. (2014) Spazio liturgico e rappresentazione del sacro: crocifissi monumentali d'età romanica a Napoli e in Campania. Hortus Artium Medievalium 20: 753–62.Google Scholar
Enderlein, L. (1997) Die Grablegen des Hauses Anjou in Unteritalien, Totenkult und Monumente 1266–1343 (Römische Studien der Bibliotheca Hertziana 12). Worms, Wernersche Verlagsgesellschaft.Google Scholar
Fonseca, C.D. (2003) La cattedrale e il suo Capitolo. Analisi comparata in prospettiva storica, ecclesiologica e canonistica. Annali di studi religiosi 4: 215–35.Google Scholar
Francovich, G. de (1938) L'origine e la diffusione del crocifisso gotico doloroso. Kunstgeschichtliches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana 2: 145261.Google Scholar
Galante, G.A. (1873) Guida sacra alla città di Napoli. Napoli, Stamperia del Fibreno.Google Scholar
Galli, A. (2003) Ugolino di Nerio: Crocifissione con san Francesco. In Bagnoli, A. et al. (a cura di) Duccio. Siena fra tradizione bizantina e mondo gotico: 376–78. Milano, Silvana Editoriale.Google Scholar
Garrison, E.B. (1949) Italian Romanesque Panel Painting. An illustrated index. Florence, L.S. Olschki.Google Scholar
Giorgi, S. (2003) Guido da Siena: Adorazione dei magi; Fuga in Egitto. In Bagnoli, A. et al. (a cura di) Duccio. Siena fra tradizione bizantina e mondo gotico: 5055. Milano, Silvana Editoriale.Google Scholar
Gisolfo, P. (1667) Vita del P.D. Carlo Carafa, fondatore della Congragatione de’ PP. Pij Operarij di Napoli. Napoli, Luc'Antonio di Fusco.Google Scholar
Gordon, D. (2011) The Italian paintings before 1400. London, National Gallery Catalogues.Google Scholar
Hoffmann, G. (2006) Das Gabelkreuz in St Maria im Kapitol zu Köln und das Phänomen der Crucifixi dolorosi in Europa. Worms, Wernersche Verlagsgesellschaft.Google Scholar
Illibato, A. (a cura di) (1983) Il «Liber visitationis» di Francesco Carafa nella diocesi di Napoli (1542–1543). Roma, Edizioni di Storia e Letteratura.Google Scholar
Ladner, G.B. (1970) Die Papstbildnisse des Altertums und des Mittelalters II. Città del Vaticano, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana.Google Scholar
Leone de Castris, P. (1986a) Arte di corte nella Napoli angioina, da Carlo I a Roberto il Saggio (1266–1343). Firenze, Cantini edizioni d'arte.Google Scholar
Leone de Castris, P. (1986b) Pittura del Duecento e del Trecento a Napoli e nel Meridione. In Castelnuovo, E. (a cura di), La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento: vol. 2, 461512. Milano, Electa.Google Scholar
Leone de Castris, P. (1990) scheda s.n. In Di Maggio, P. (a cura di), Opere d'arte nel palazzo arcivescovile di Napoli: 42. Napoli, Electa Napoli.Google Scholar
Leone de Castris, P. (2007) Simone Martini. Milano, Federico Motta.Google Scholar
Lombardo di Cumia, M.A. (2011) La topografia artistica del duomo di Napoli. Dalla fondazione angioina alla “riforma” Settecentesca del cardinale Giuseppe Spinelli. Napoli, Paparo.Google Scholar
Loreto, L. (1849) Guida per la sola Chiesa Metropolitana Cattedrale di Napoli. Napoli, Tipografia Arcivescovile.Google Scholar
Lucherini, V. (2009a) La cattedrale di Napoli: storia, architettura, storiografia di un monumento medievale. Roma, École Française de Rome.Google Scholar
Lucherini, V. (2009b) 1313–1320: il cosiddetto Lello da Orvieto, mosaicista e pittore, a Napoli, tra committenza episcopale e committenza canonicale. In Alcoy, R. (a cura di), El Trecento en obres, Art de Catalunya i art d'Europa al segle XIV, Atti del convegno internazionale di studi (Barcelona, 2–6 maggio 2007): 185215. Barcelona, Universitat de Barcelona.Google Scholar
Mallardo, D. (1952) La Pasqua e la Settimana Maggiore a Napoli dal secolo V al XIV. Ephemerides Liturgicae 66: 336.Google Scholar
Manna, J. (2001) L’“Albero di Jesse” nel Medioevo italiano. Un problema di iconografia. Banca dati online “Nuovo Rinascimento”, http://www.nuovorinascimento.org/n-rinasc/iconolog/pdf/manna/jesse.pdf.Google Scholar
Moran, G. (1976) Is the name Barna an incorrect transcription of the name Bartolo? Paragone 311: 7680.Google Scholar
Morisani, O. (1947) Pittura del Trecento a Napoli. Napoli, Libreria Scientifica Editrice.Google Scholar
Pace, V. (2000) Morte a Napoli. Sepolture nobiliari del Trecento. In Schmid, W. (a cura di), Regionale Aspekte der Grabmalforschung: 4162. Trier, Porta-Alba-Verlag.Google Scholar
Pagnotti, F. (1898) Niccolò da Calvi e la sua Vita di Innocenzo IV, con una breve introduzione sulla istoriografia pontificia nei secoli XIII e XIV. Archivio della Società Romana di Storia Patria 21: 7120.Google Scholar
Paone, S. (2004) Gli affreschi di Santa Maria Donnaregina Vecchia: percorsi stilistici nella Napoli angioina. Arte Medievale 1: 87118.Google Scholar
Parascandolo, L. (1847–1851) Memorie storiche-critiche-diplomatiche della chiesa di Napoli III. Napoli, P. Tizzano.Google Scholar
Parrino, Dom. Ant. e Mutii, M.A. (1768) Regule particolari per le sante missioni di fuori, della Congregazione delle apostoliche missioni, eretta dentro la Cattedrale di Napoli, sotto il titolo di Santa Maria Regina degli apostoli. Napoli, Stamperia Morelliana.Google Scholar
Periccioli Saggese, A. (2008) L'iconografia dell’“Albero di Jesse” nella pittura e nella miniatura di età angioina a Napoli e in Campania. In Quintavalle, A.C. (a cura di), Medioevo: arte e storia, Atti del convegno internazionale di studi (Parma, 18–22 settembre 2007): 631–36. Milano, Electa.Google Scholar
Pierini, M. (2000) Simone Martini. Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale.Google Scholar
Rolfs, W. (1910) Geschichte der Malerei Neapels. Leipzig, E.A. Seemann.Google Scholar
Romano, S. (2001) Die Bischöfe von Neapel als Auftraggeber. Zum Bild des Humbert d'Ormont. In Michalsky, T. (a cura di) Medien der Macht. Kunst zur Zeit der Anjous in Italien: 192224. Berlin, Reimer.Google Scholar
Romano, S. (2002) La cattedrale di Napoli, i vescovi e l'immagine. Una storia di lunga durata. In Romano, S. e Bock, N. (a cura di), Il duomo di Napoli dal paleocristiano all'età angioina, Atti della I giornata di studi su Napoli (Losanna, 23 novembre 2000): 720. Napoli, Electa Napoli.Google Scholar
Seidel, M. (1971) La scultura lignea di Giovanni Pisano. Firenze, Editrice Edam.Google Scholar
Sersale, B. (1745) Discorso istorico intorno alla cappella de’ signori Minutoli sotto il titolo di S. Pietro apostolo e di S. Anastasia martire dentro il duomo napoletano. Napoli, Stamperia Raimondiana.Google Scholar
Sparano, G. (1768) Memorie istoriche per illustrare gli atti della S. napoletana chiesa e gli atti della congregazione d. apostoliche missioni. Napoli, Giuseppe Raimondi.Google Scholar
Strazzullo, F. (1959) Saggi storici sul duomo di Napoli. Napoli, Istituto editoriale del Mezzogiorno.Google Scholar
Strazzullo, F. (1965) Il duomo di Napoli nel Cinquecento. Napoli, A.G.A.R.Google Scholar
Stubblebine, J.H. (1979) Duccio di Buoninsegna and His School I. Princeton, Princeton University Press.Google Scholar
Summonte, G.A. (1675) Dell'historia della città, e regno di Napoli II. Napoli, Antonio Bulifon.Google Scholar
Summonte, G.A. (1693) Dell'historia della città, e regno di Napoli II. Napoli, Giacomo Raillard.Google Scholar
Toesca, P. (a cura di) (1951) Storia dell'arte italiana. Il Trecento II. Torino, UTET.Google Scholar
Tomei, A. e Paone, S. (2010) Paintings and miniatures in Naples: Cavallini, Giotto and the portraits of King Robert. In Watteeuw, L., Wan der Stock, J. (a cura di), The Anjou Bible. A royal manuscript revealed. Naples 1340: 5371. Paris-Leuven-Walpole, Peeters.Google Scholar
Van Marle, R. (1924) The Development of the Italian Schools of Painting II. Den Haag, Springer.Google Scholar
Venturi, A. (a cura di) (1907) Storia dell'arte italiana. La pittura del Trecento e le sue origini V. Milano, Ulrico Hoepli.Google Scholar
Volpe, C. (1976) Postilla. Paragone 311: 80.Google Scholar
Volpe, C. (1982) ‘Barna’ (Federico Memmi?). In Chelazzi Dini, G. (a cura di), Il Gotico a Siena: miniature, pitture, oreficerie, oggetti d'arte, Catalogo della mostra (Siena, Palazzo Pubblico, 24 luglio–30 ottobre 1982): 186–87. Firenze, Centro Di.Google Scholar
Figure 0

Fig. 1. Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi»: veduta in corrispondenza della porta nord. (T. De Giorgio.)

Figure 1

Fig. 2. Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi»: porta nord. (T. De Giorgio.)

Figure 2

Fig. 3. Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi»: architrave della porta nord con Storie della Passione e Annunciazione con offerente. (T. De Giorgio.)

Figure 3

Fig. 4. Pianta delle due antiche e odierna cattedrale di Napoli. (Sersale, 1745: tav. 30.)

Figure 4

Fig. 5. Lello da Orvieto (attribuito), Albero di Jesse, affresco, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Figure 5

Fig. 6. Lello da Orvieto (attribuito), Ritratto dell'arcivescovo Humbert d'Ormont e san Paolo, tempera e oro su tavola, Napoli, Museo diocesano. (C. Raso.)

Figure 6

Fig. 7. Cristo schernito e spogliato delle vesti, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Figure 7

Fig. 8. Particolare della Fig.7. (T. De Giorgio.)

Figure 8

Fig. 9. Particolare della Fig.7. (T. De Giorgio.)

Figure 9

Fig. 10. Particolare della Fig.7. (T. De Giorgio.)

Figure 10

Fig. 11. Flagellazione, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Figure 11

Fig. 12. Particolare della Fig.11. (T. De Giorgio.)

Figure 12

Fig. 13. Particolare della Fig.11. (T. De Giorgio.)

Figure 13

Fig. 14. Particolare della Fig.11. (T. De Giorgio.)

Figure 14

Fig. 15. Andata al Calvario, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Figure 15

Fig. 16. Particolare della Fig.15. (T. De Giorgio.)

Figure 16

Fig. 17. Particolare della Fig.15. (T. De Giorgio.)

Figure 17

Fig. 18. Deposizione, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Figure 18

Fig. 19. Particolare della Fig.18. (T. De Giorgio.)

Figure 19

Fig. 20. Particolare della Fig.18. (T. De Giorgio.)

Figure 20

Fig. 21. Particolare della Fig.18. (T. De Giorgio.)

Figure 21

Fig. 22. Particolare della Fig.18. (T. De Giorgio.)

Figure 22

Fig. 23. Angelo annunciante, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Figure 23

Fig. 24. Annunciata e presunto offerente, disegno a monocromo, Napoli, duomo, cappella «degli Illustrissimi». (T. De Giorgio.)

Figure 24

Fig. 25. Guido da Siena, Flagellazione, tempera e oro su tavola, Altenburg, Lindenau-Museum. (Wikimedia, pubblico dominio.)

Figure 25

Fig. 26. Ugolino di Nerio, Flagellazione, tempera e oro su tavola, Berlino, Staatliche Museen Gemäldegalerie. (Wikimedia, © Sailko.)

Figure 26

Fig. 27. Ugolino di Nerio, Andata al Calvario, tempera e oro su tavola, Londra, National Gallery. (Wikimedia, © Sailko.)

Figure 27

Fig. 28. Simone Martini, Deposizione dalla croce, tempera e oro su tavola, Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunster. (Wikimedia, pubblico dominio.)

Figure 28

Fig. 29. Simone Martini, Allegoria virgiliana, miniatura, dal Vergilius cum notis Petrarcae, MS Ambrosiano A79 inf. (ex S.P. 10/27), c.1v. Milano, Biblioteca Ambrosiana. (Wikimedia, pubblico dominio.)

Figure 29

Fig. 30. Simone Martini, Madonna dell'umiltà col Bambino, gli angeli e il committente Jacopo Stefaneschi, affresco e sinopia, in deposito da Notre-Dame-des-Doms, Avignone, Musée du Palais des Papes. (Flickr, Rfzappala.)

Figure 30

Fig. 31. Liverpool, Walker Art Gallery, Simone Martini, Ritorno di Gesù dal tempio, tempera e oro su tavola. (Wikimedia, Google Art Project, pubblico dominio.)