Tracce di una complessa vicenda
La Roma sotterranea di Antonio Bosio viene data alle stampe nel 1632,Footnote 1 ben tre anni dopo la morte dell'autore, anni in cui l'opera viene profondamente rilavorata,Footnote 2 corretta e ridotta da Giovanni Severano, padre oratoriano scelto da Francesco Barberini per completare la tanto attesa opera sui cimiteri di Roma.Footnote 3
È infatti Giovanni Severano a strutturare la Roma sotterranea come oggi si vede: quattro libri – di cui solo il II e III sono rintracciabili nel manoscritto autografo del Bosio, il Vallicelliano G31, mentre gli altri due sono di mano dell'oratoriano (Spigno, Reference Spigno1975; Cecalupo, Reference Cecalupo2017) – oltre 150 capitoli, numerosissime tavole. Anche la struttura interna dei libri II e III viene variata leggermente dal Severano che, contrariamente all'idea iniziale di Bosio, accorcia di moltoFootnote 4 il testo del libro II dedicato esclusivamente alla basilica di San Pietro, per annettervi i capitoli IX-XXII (originariamente i I-XIII del libro III) riguardanti i cimiteri della via Aurelia, Cornelia, Portuense (Bosio, Reference Bosio1632–1634: 109–43).
Il fatto stesso che Bosio avesse intenzione di dedicare un libro a parte alla basilica di San Pietro,Footnote 5 trattandone aspetti assai vari ed eterogenei, dà idea dell'importanza tributata al sito petrino (Liverani, Reference Liverani and Frings2005) non solo in termini religioso-devozionali, ma anche in ottica storica, artistica e politicamente romanocentrica, inserendosi così, con spirito controriformistico (Guazzelli, Reference Guazzelli, Jones, Wisch and Ditchfield2019; Cecalupo, Reference Cecalupo2020), in un filone di studi eruditi e archivistici sulla basilica pietrina che vanno da Pietro Mallio e Maffeo VegioFootnote 6 al quasi contemporaneo Tiberio Alfarano. Analizzare il libro II della Roma sotterranea incrociando i dati del manoscritto con la versione illustrata dell'opera a stampa è utile non solo al fine di introdurre Bosio nel suddetto movimento di studiosi eruditi, ma anche per comprendere più in profondità l'impatto del cantiere petrino per la costruzione della nuova basilica nel panorama artistico, antiquarioFootnote 7 e archeologicoFootnote 8 romano. Nelle sue pagine, Bosio fa frequente riferimento esplicito alla demolizione della Basilica come principale causa di ritrovamento di grandi sarcofagi istoriati soprattutto nei primi anni del XVII secolo.Footnote 9 Come si vede in varie parti del suo testo, moltissimi ritrovamenti di sarcofagi possono essere sicuramente datati ad annum, nell'ambito del periodo di attività di Bosio, che tra l'altro coincide con i decenni della grande attenzione per i cimiteri cristiani a seguito della scoperta della catacomba anonima di via Anapo. Allo stesso tempo, però, nella presentazione di molti altri sarcofagi dal cantiere petrino, Bosio non offre alcuna precisa datazione relativa al momento del ritrovamento.Footnote 10 Egli lascia piuttosto intendere che si tratti di un avvenimento ben precedente alla sua venuta a Roma (negli anni ’80 del XVI secolo) e, spesso, un momento addirittura anteriore alla sua nascita nel 1575: infatti la mancanza di specificazione dell'anno in cui sono avvenute le scoperte descritte è sempre indicatore, in Bosio, di una datazione a lui molto precedente.
Sull'importanza del cantiere vaticano riflette molto eloquentemente, evidenziandolo come un avvenimento ‘antico’ di cui lui appunto non ha potuto godere:
E che sotto la Vecchia Basilica vi fosse il cimiterio de’ Santi Martiri, l'esperienza istessa ce l'ha fatto toccar con mano; percioche dove è bisognato cavare per necessità de’ nuovi fondamenti, si sono ritrovate Sepolture infinite, & Oratori, e Cubicoli sotterranei, con i luoghi de’ defonti intorno, a guisa de gli altri Cimiterij: in alcuni de’ quali vi erano imagini de’ Santi, e pitture sacre, come lasciò notato il sudetto Tiberio Alfarano beneficiato di S. Pietro; sì per relazione de’ Vecchi; come per quello, ch'egli istesso n'havea veduto; al quale noi invidiamo assai, e vorriamo esser stati in quell'età per haver potuto cavar' i disegni di quei Cubicoli, e di quelle imagini per arricchire il presente nostro libro. Non è poi dubbio, che questi (almeno per la maggior parte) fossero sepolcri di Santi Martiri; perché in alcuni di essi (come dice il medesimo Alfarano) fù ritrovato anco il sangue vivo; segno manifesto del Martirio (Bosio, Reference Bosio1632–1634: 26).
Prime scoperte e diffusione delle antichità cristiane a Roma
Grande attenzione presta il Bosio anche al ritrovamento – che verrà affrontato in seguito – del sarcofago di Probo, per cui non cita la data, precedente alla sua nascita, ma si affida alle parole di Maffeo Vegio e testimonia direttamente solo di averlo visto ‘per uso del sacro fonte battesimale nell'Oratorio di S. Tomaso, fin all'anno 1607 quando essendosi gittato a terra il dett'Oratorio’ (Bosio, Reference Bosio1632–1634: 47).
Continuando a scandagliare il libro del Bosio, però, si identificano anche interessanti informazioni di tipo collezionistico provenienti da visione autoptica in prima persona,Footnote 11 specialmente quando parla espressamente della dimora Cesi in Borgo, vale a dire il palazzo collocato tra l'area che poi sarà occupata dal lato sud del colonnato del Bernini e l'attuale via dei Cavalleggeri.Footnote 12
Si apprende in tal modo da Bosio che collezioni romane di alto livello come quella Cesi, la cui prossimità fisica alla basilica è indubbia, si giovano del cantiere petrino per annettere materiali paleocristiani al proprio interno. A questo punto sembra chiaro come Bosio consideri la questione della demolizione e ricostruzione della basilica di San Pietro (Fig. 1) una tappa fondamentale nella riscoperta cinquecentesca delle antichità cristiane, e a questo evento bisogna anche oggi guardare con maggiore attenzione per interrogarsi sul rapporto tra San Pietro e le antichità cristiane di Roma.

Fig. 1. G.A. Dosio, 1565 ca. Veduta dell'interno della basilica con la nuova navata sud e l'abside costantiniano (Krautheimer Reference Krautheimer1937–77, V)
Il periodo del secondo Cinquecento in cui si condensano i lavori in San Pietro è coevo ad un momento di grande floridezza per lo studio erudito e collezionistico dell'antico,Footnote 13 non tanto esclusivamente umanistico e con spiccata propensione ai classici, ma anche e soprattutto cristiano ed ecclesiastico. Se già negli ultimi decenni del XV secolo le antichità cristiane (in particolare, i titoli sepolcrali) avevano già fatto la loro comparsa sia nel panorama eruditoFootnote 14 che nelle prime collezioni della città,Footnote 15 è con il primo Cinquecento e il primo periodo post-tridentino che può parlarsi di rinnovato interesse verso le radici paleocristiane dell'Urbe e del Papato, interesse che si concretizza però ancora in pochi personaggi isolati.Footnote 16
Questo periodo viene tendenzialmente considerato dalla storiografia dell'archeologia cristiana come una lunga preparazione al 1578. Infatti, la storia dell'archeologia cristiana come disciplina che studia le testimonianze monumentali e materiali dei primi secoli del cristianesimo viene fatta iniziare, in Italia, con la data simbolica del 31 maggio 1578, il giorno in cui alcuni cavatori al lavoro nella Vigna Sanchez sulla via Salaria nova, cadono accidentalmente all'interno delle cavità ipogee di quella che si scoprirà poi essere la cosiddetta catacomba anonima di via Anapo. In uno degli annali del pontificato di Gregorio XIII, si legge infatti, sotto la data del 31 maggio 1578, della scoperta di tali ipogei, allora identificati con la catacomba di Priscilla.Footnote 17 Da un'apertura di Vigna Sanchez sulla via Salaria, quindi, Roma prende contezza della ricchezza delle catacombe romane e si inaugura una ricca stagione di scoperte. Già Giovanni Battista de Rossi, però, nel 1864, aveva percepito che l'avvenimento, seppur nella sua miticità di momento ‘che la grande fiamma accende’ (de Rossi, Reference De Rossi1864: 12) dovesse essere inserito in un più ampio contesto di sviluppo storico di un filone di ricerca che affonda le sue radici nel Quattrocento (de Rossi, Reference De Rossi1864: 2–12) e si concretizza in più momenti importanti nel corso del XVI secolo. Certo la scoperta della catacomba anonima di via Anapo è un istante altamente simbolico che espande a dismisura la fama delle antichità paleocristiane romane, ma a questo punto va sottolineato come Roma, e in particolare alcune fasce di popolazione, si renda conto per la prima volta del patrimonio figurativo e artistico paleocristiano materiale nell'Urbe con la distruzione e la conseguente riscoperta della San Pietro costantiniana.Footnote 18 Si tratta di un evento cronologicamente assai diluito nel tempo, che condiziona profondamente il XVI secolo in tutta la sua estensione, che ha importanti risvolti culturali e che può identificarsi come il primo momento in cui davvero il patriziato, il clero romano e gli eruditi cittadini ‘vedono’ i resti artistici del periodo paleocristiano. Ciò che Bosio afferma nel suo libro II è una summa ampliata dei testi già redatti sul cantiere petrino e a questi bisogna guardare come fonti per l'archeologia cristiana in San Pietro.
Sorvolando in questa sede sull'operato di Pietro Mallio e soprattutto di Maffeo Vegio, eruditi che, rispettivamente nel XIII e nel XV secolo, si sono occupati delle memorie sacre e storiche della basilica pietrina, che da questo studio esulano perché ancora riconducibili ad una tradizione storiografica medievale e soprattutto perché cronologicamente lontani dalle demolizioni del cantiere cinquecentesco, è necessario rivolgersi ai due testimoni delle grandi scoperte e dei grandi lavori nella chiesa: Giacomo Ercolano e Tiberio Alfarano.Footnote 19 A questi e, in generale, al lavoro di attento studio del cantiere di San Pietro guarderanno riconoscenti tutti gli studiosi successivi, in particolare proprio Antonio Bosio.Footnote 20
Di Giacomo Ercolano,Footnote 21 non si posseggono testi autografi relativi alla basilica antica distrutta e ‘disvelata’. Il suo lavoro di registrazione è però molto conosciuto dai successivi eruditi, e fondamentale per tutti gli autori del primo XVII secolo. Ne è un esempio il testo contenuto nel manoscritto dell'Archivio del Capitolo di San Pietro G 8, redatto nel 1567 da Ercolano ma ivi leggibile nella versione interamente copiata da Tiberio Alfarano nel 1570. Si tratta di una lunga trattazione storica su San Pietro con attenzione all'età costantiniana e in generale alla presentazione dell'importanza della basilica nella storia del cristianesimo, contemporanea all'affermazione inderogabile del primato Vaticano sulle chiese dell’Orbis christianus. C’è particolare attenzione, inoltre, sul carattere funerario della basilica, che in qualche modo condizionerà gli approcci successivi alla ricerca archeologica in San Pietro.Footnote 22 Tutti i testi e le testimonianze di Ercolano, che assiste alle demolizioni (Thoenes, Reference Thoenes and Cole2006) degli anni ’50, diventano infatti la base documentaria per Tiberio Alfarano, il chierico a cui si deve la prima, fondamentale icnografia della San Pietro costantiniana e medievale e che sente molto forte la necessità di ricordare le architetture in demolizione, per lasciarne memoria ai posteri.Footnote 23 A lui si deve anche il De Basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura, testo a corredo della grande pianta della basilica nella fase costantiniana in fase di abbattimento, che nonostante la sua incredibile importanza storica è stato stampato solo nel Novecento (Alfarano, Reference Alfarano1914). Dall'opera di registrazione di Alfarano si recuperano cospicue informazioni archeologiche sulla basilica di San Pietro, non tanto dal punto di vista architettonico (per il quale è prematuro parlare in un periodo così alto come il Cinquecento), ma per quanto riguarda numerosi ritrovamenti di reperti antichi paleocristiani soprattutto nel corso dello scavo per le fondamenta della basilica, e in particolare nell'area della navata centrale e nei mausolei annessi al transetto (Liverani, Reference Liverani1999: 135–48).
Per quando riguarda il pavimento delle navate, la sua fama di ‘contenitore’ di tombe antiche e sante è assai ampia,Footnote 24 se si pensa che ancora Bosio ci tiene, nei primi anni del Seicento, ad appuntare nei suoi manoscritti preparatori alla Roma sotterranea che:Footnote 25 ‘Jacomo Erculano dice che la nave di mezzo della Chiesa di S. Pietro fu sempre riputata sepoltura di Martyri’ (Roma, Biblioteca Vallicelliana, G 4, fol. 1397). È molto interessante cercare conferma degli effettivi ritrovamenti di sepolture sotto il pavimento della basilica negli scritti di Alfarano, non solo nel De Basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura, ma anche nella messe di appunti, descrizioni e cronache dei lavori contenuti nei suoi manoscritti autografi oggi conservati nel fondo dell'archivio del capitolo di San Pietro presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.
Fin dall'inizio del testo si collegano le scoperte archeologiche (soprattutto dei sarcofagi paleocristiani) con i lavori di smontaggio del pavimento delle navate della basilica. Le principali descrizioni di Alfarano in questo senso si collegano proprio a ritrovamenti sub Basilicae pavimento, che presenta fin da subito nel testo dell'icnografia, quando afferma che: Insuper et per totam Basilicam et praecipue per hanc transversam navem sunt sepulcra innumerorum sanctorum Martyrum, Pontificum, Confessorum, Virginum et magnorum virorum perfectorum; et propterea in exstructione novae Basilicae iussu Iulij secundi summi Pontificis intacta remanserunt, minimeque effossa fuerunt ut experimento comprobavimus (Alfarano, Reference Alfarano1914: 38). In questo breve spaccato offerto da Alfarano, si nota anche l'attenzione dell'erudito ai sepolcri di innumerevoli defunti importanti quali martiri, pontefici, confessori e altri. Un interesse che risponde ad una più generica attenzione degli studiosi coevi alla ricostruzione storica delle origini paleocristiane tramite il riconoscimento di personaggi chiaramente identificabili di cui si trovino concordanze nelle fonti letterarie di vario genere.
In generale, i ritrovamenti di sepolcri sotto il pavimento sembrano infatti una caratteristica del cantiere cinquecentesco fin dai lavori di Giulio II, il quale, però, lascia tutto intoccato e procede con la nuova costruzione.Footnote 26 È lo stesso concetto che si è visto espresso in Bosio e, soprattutto, nei testi di Giacomo Ercolano, una vera fonte antiquaria affidabile: infatti, abbondano le scoperte di numerosissimi sepolcri e iscrizioni pagane e cristiane sia tràdite da Ercolano, sia avvenute nel 1574 sotto gli occhi di Alfarano. Da alcuni appunti del chierico si ricavano relazioni più o meno dettagliate degli scavi e dei conseguenti ritrovamenti, che non si limitano ai sarcofagi ma che, come capita per tutti gli ambienti funerari della prima cristianità, coinvolgono anche titoli epigrafici. Questi sono spesso descritti negli appunti di Alfarano (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio del Capitolo di San Pietro, G 5, fols. 24–26):
Nel prefato anno [1574] havendose scoperto il pavimento della nave di mezzo della Chiesa essendo stato coperto dalli calcinacci della ruina di tanti anni, dal cancello insino all'Altare Maggiore si è ritrovato tutto intiero come più volte il mio R. Mr. Jacomo me riferiva, ma volendosi egualare atteso per le gran ruine molti sepolchri et alcuni inferrati, et impiombati, quali erano de’ pili intieri, et altri de taule de marmo […]. Sopra questa malta era una taula de marmo sopra la quale era un corpo morto circumdato et coperto di calce vergine per conservasse: io giudicai fosse di Christiano […] Fu trovata anco una tavola di marmo pur cavandosi in fondo in altri lochi qui per la fabrica, quale adesso è posta in dicto pavimento nella nave di mezzo restaurata, con queste lettere:
benemerenti in pace Proclo qui bixit
annus XVI depositus VI idus octobris
DD.NN. Honorio Augusto VIII et
Theodosio C.C.S.S.
[immagine di colombe che si abbeverano da un cantaro].
Nello stesso periodo, vale a dire gli anni tra il 1571 e il 1574 che vedono un accentuarsi delle operazioni di scavo, di ricostruzione e di restauro sotto la spinta propulsiva di papa Gregorio XIII Boncompagni (Borromeo, Reference Borromeo2000), Alfarano registra scoperte di tombe e cappelle cristiane negli scavi per la costruzione del campanile e nei rifacimenti del portico di Pio V, in cui ovviamente sono i sarcofagi marmorei ad essere al centro dell'interesse del chierico, dato che vengono ritrovati e da lui visti ancora inviolati e quindi pieni, intatti nella loro sistemazione originale.Footnote 27
La penetrazione negli strati di fondazione della basilica permette di entrare in contatto anche con ambienti sepolcrali ipogei più strutturati, e con decorazioni di cui non mancano descrizioni e che, seppur non marcatamente ascrivibili ad età paleocristiana, concorrono senza dubbio alla definizione monumentale dell'antica San Pietro e della prima età cristiana di Roma agli occhi degli eruditi e dei cultori antiquari nella Roma della Controriforma (Wischmeyer, Reference Wischmeyer1978), sempre impegnati nella valorizzazione del primato romano e in particolare petrino.
Tra gli appunti dell'Alfarano relativi all'apertura degli strati pavimentali della basilica, si rintraccia una delle descrizioni più dettagliate di antichità cristiane da lui fornite (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio del Capitolo di San Pietro, G 5, fol. 84):
Sotto questa Cappella et sotto la Sacrestia è vacuo et vi sono bellissime stanze sotterranee. […] Sotto le due antidette Cappelle cavandose le fondamenta della Chiesa nova l'anno 1578 furono trovati bellissimi Pili di marmo con li Corpi di Christiani et persone dignissime dentro vestiti di seta et alcuni erano forse Cardinali o Papi, infra i quali Pili uno havea di rilievo l'historia della negatione di S. Pietro col gallo, e l'istoria d'Habraam con Isac, et altre historie ecclesiastiche, et un altro aveva certe Croci di rilievo intagliati nel marmo.
Il primo dei sarcofagi presentati è probabilmente quello traslato presso Sant'Andrea della ValleFootnote 28 e oggi conservato nelle Grotte Vaticane, inciso e riportato da Bosio nella Roma sotterranea (Fig. 2).Footnote 29 Di questo reperto scultoreo Alfarano si spinge ad offrire una piccola descrizione iconografica, in cui identifica almeno due scene evangeliche, senza indugiare però (come tipico d'altronde del suo approccio al pezzo antico) in esposizioni più dettagliate.

Fig. 2. Sarcofago ritrovato nello scavo della Basilica Vaticana di cui ‘forsi intende l'Alfarano’ (Bosio, 1632–34: 83)
Nonostante la stringatezza nel presentare gli aspetti più estetici ed iconografici dei ritrovamenti all'interno di tutte le sue note, l'Alfarano mette continuamente in relazione la scoperta (da lui vista in prima persona e conseguentemente datata) di cappelle, cavità e camere ipogee e ritrovamento di sarcofagi marmorei.Footnote 30 L'unione tra grandi camere funerarie e importanti sarcofagi ricorre in Alfarano anche quando si concentra lungamente sulla scoperta del mausoleo degli Anici e del sarcofago di Probo, rileggendola in chiave più ampia all'interno del ricco corredo descrittivo all'iconografia e diventando la base documentale dei lavori del Bosio. Ciò che Alfarano comunica relativamente al sepolcro di ProboFootnote 31 è mutuato dal Maffeo Vegio che già nel 1453, l'anno in cui il mausoleo viene abbattuto (Liverani, Reference Liverani1999: 148), lo descrive definendolo come inaccessibile. Utilizzando Vegio, e poi le indicazioni di Cencio Camerario, Alfarano dimostra una buona conoscenza dei testi medievali inerenti i cimiteri cristiani di Roma.
Il chierico inserisce nella sua icnografia il mausoleo a pianta rettangolare in tre navatelle, addossato all'abside e con il suo stesso orientamento. L'identificazione del sepolcro si deve al ritrovamento, sotto il pavimento, di due iscrizioni metriche nel peristilio (de Rossi, Reference De Rossi1888: 347–48): nel corso delle demolizioni sono stati rinvenuti, assieme a numerosi altri reperti (Liverani, Reference Liverani1999: 147–48), i due celebri sarcofagi, il primo dei quali è oggi conservato in due parti tra i Musei Capitolini e il Louvre (Deichmann, Reference Deichmann1967: 347–48, n.829), mentre l'altro, già citato a proposito del testo del Bosio (si veda su e Bosio, Reference Bosio1632–1634: 47–49), è proprio quello di Sextus Petronius Probus e della moglie Anicia Faltonia Proba e si conserva tutt'oggi presso il museo delle Grotte Vaticane (Fig. 3). Si tratta di un sarcofago a colonne, con interessanti strutture architettoniche abitate da coppie di apostoli in tunica e pallio, mentre nella nicchia centrale è ben visibile un Cristo giovane, con un rotolo nella mano sinistra e una croce gemmata a cui si appoggia con la destra (Deichmann, Reference Deichmann1967: 274–77, n.677).

Fig. 3. Fronte del sarcofago di Probo (Deichmann, Reference Deichmann1967: n.677).
Di grande importanza nella storia delle scoperte della basilica costantiniana sono quindi i mausolei antichi annessi, che dalle righe di Alfarano si intendono proprio come ‘contenitori’ di reperti paleocristiani, che si disvelano ai contemporanei fin dalla metà del secolo con il loro ricco bagaglio di tradizioni e storie connesse alla prima basilica, con gli imperatori di IV secolo e con i sepolcri dei primi cristiani. Si tratta in particolare del mausoleo di Petronilla, i cui ritrovamenti verranno a lungo descritti dagli eruditi che gravitano attorno al cantiere petrino, e dell'oratorio di Santa Maria delle Febbri. Riguardo a quest'ultimo, antico oratorio a pianta centrale che conteneva una veneratissima icona eponima, Alfarano riporta che: De huiusmodi templo Cosmus Florentinus, coementariorum fabricae praepositus, referrebat totidem sacella eodemque ordine sub penetralibus huius templi existere quot in hac superiori parte conspiciuntur; haec aliquando cum novae Basilicae fundamenta iacerentur proprijs oculis vidisse et manibus contrectasse asserebat (Alfarano, Reference Alfarano1914: 145). Si fornisce quindi una testimonianza diretta del capomastro della Fabbrica che, nella costruzione delle nuove fondamenta,Footnote 32 rintraccia numerosi sepolcri antichi, confermando ancora una volta la metodicità e la frequenza di tale avvenimento nel cantiere petrino qualche anno prima della scoperta ‘ufficiale’ delle catacombe romane.
Il lavoro presso il templum cosiddetto di Petronilla, con le descrizioni e le riflessioni cinquecentesche da esso scaturite, sembrano configurarsi, con le attenzioni del caso, come uno dei primi veri interventi cinquecenteschi di studio più ampio di un monumento paleocristiano che si va scoprendo.
Sul mausoleo imperiale di Petronilla, annesso al transetto sinistro della basilica costantiniana e posizionato, nella chiesa odierna, sotto la cappella dei Santi Simone e Giuda, molto è stato scrittoFootnote 33 specie per quel che riguarda l'avvenimento, riportato anche da Alfarano, della scoperta, il 4 febbraio 1544, del sepolcro di Maria, figlia di Stilicone e moglie di Onorio (De Rossi, Reference De Rossi1878; de Rossi, Reference De Rossi1879a), morta nel 407–408 e seppellita in questo mausoleo imperiale, la cui vocazione funeraria e l'intensivo uso sepolcraleFootnote 34 testimoniati a partire dal V secoloFootnote 35 e precedenti alla sua trasformazione in chiesa sotto papa Stefano II,Footnote 36 colpiscono molto Alfarano. Egli infatti aggiunge nella sua opera tutte le testimonianze di ritrovamenti di sepolture paleocristiane al suo interno fin dalla metà del Quattrocento,Footnote 37 rielaborandole e riproponendole attraverso la sua esperienza. I racconti di Tiberio Alfarano riguardanti i lavori e le scoperte in questo monumento sono quindi abbondanti sia nel testo dell'icnografia, sia negli appunti. Tramite le note del manoscritto dell'Archivio Capitolare di San Pietro, Alfarano tramanda la scoperta del sepolcro della moglie di Onorio nel 1544, richiamando i dettagli sulla ricchezza e sull'importanza del corpo ivi conservato. Ancora una volta, il sepolcro diventa più importante, in quanto ascrivibile ad un personaggio storico chiaramente identificato nelle fonti e ritrovato con ricchi abiti e interessante corredo. In questo modo, anche gli oggetti contenuti nella sepoltura diventano tangibili testimonianze del primo cristianesimo per tutti coloro che assistono al ritrovamento:
A di 4 Febraro 1544 nel Pontificato di Paulo PP. III fu scoperto un sepolcro appresso l'altare di S. Petronilla. Era un gran pilo di marmo […]. Dentro il quale pilo era il Corpo di Maria Moglie di Onorio Xmo Imperatore di Costantinopoli. Il qual Corpo era vestito di una veste di oro tirato, et in testa un panno d'oro con più avolti, et un altro disteso sopra al viso et al petto […]. Dal lato haveva una scatola d'argento piena di diversi vasi […], et appresso a questa una cassetta coperta d'argento indorato […]. Alcune collane et catenette con pendenti et altri lavori con gioie et alcuni lavori d'oro, quale cose hebbe il detto Papa Paulo III.Footnote 38
Alfarano ritorna sul tema nel testo dell'icnografia in maniera assai più diffusa a cominciare dalla descrizione della sepoltura di Santa PetronillaFootnote 39 e della traslazione della Santa, che viene ricordata come un evento importante che collega San Pietro non solo con la vicenda del Principe degli Apostoli, ma anche con i cimiteri cristiani del suburbio: il sarcofago marmoreo ricordato da Alfarano (Alfarano, Reference Alfarano1914: 135) tramite la testimonianza del Mallio è l'oggetto e il centro materiale di questa traslazione, e collega idealmente, nell'immaginario degli eruditi contemporanei, la basilica con i cimiteri ipogei.
Dopo essere tornato brevemente sulla scoperta del sepolcro di Maria moglie d'Onorio durante il pontificato di Paolo III,Footnote 40 Alfarano richiama le scoperte fatte sotto il pavimento del sacello di Santa Petronilla a cui lui assiste:
Nostris vero temporibus totum dictum Beatae Petronillae templum fuit solo aequatum, atque intra novam Basilicam inclusum totumque fornicibus pavimentum novae Basilicae sustinentibus concameratum, et pro fidelium sepulcris accomodatum. Sed in sepulcro in loco dicti sacelli extructo ac concamerato multa ossa Christianorum, ex pluribus loculis veteris Basilicae eruta, condita fuere et precipue ea quae fuerunt eruta ex oratorio sanctorum Processi et Martiniani, et ex Ecclesia sancti Ambrosij, et Sanctorum Sosij et Apollinaris, quae circa Basilicam ad aquilonem olim erant, ut supra ostendimus (Alfarano, Reference Alfarano1914: 137).
In questo modo egli comunica, concludendo circolarmente tutto il discorso, che è carattere comune di tutti gli ‘oratori’ annessi alla basilica quella di conservare ossa di antichi cristiani sotto il pavimento, un carattere cimiteriale plurisecolare che è ormai ovviamente ben chiaro agli eruditi dei primi anni ’70 del Cinquecento. Rimane quindi sempre ben presente in Alfarano (e in tutti quegli eruditi che a lui saranno grandemente debitori nei decenni successivi) che il carattere principale dell'antica San Pietro è proprio quello funerario, e che quindi tutto il tesoro di antichità paleocristiane ivi conservato proviene dagli strati sottostanti e si rivela nel Cinquecento grazie allo smantellamento dei pavimenti.
A chiusura di questa carrellata di fonti c’è da interrogarsi sul dove conduca l'analisi delle testimonianze qui presentate. Innanzitutto a identificare una sicura presa di coscienza del patrimonio storico di San Pietro, una consapevolezza storica di grande novità, figlia degli influssi controriformisti della cultura romana da San Filippo Neri in poi, e che si esprime attraverso la registrazione dei lavori e delle scoperte che nei primi decenni del cantiere risulta assente. In secondo luogo, attira l'attenzione il fatto che la cerchia erudita attorno al cantiere della basilica petrina proceda, con maggiore o minore consapevolezza, ad un primo, vero lavoro di archeologia cristiana nel senso moderno che sarà poi attribuibile ai primi scopritori e frequentatori delle catacombe romane: predominanza delle fonti testuali antiche, conoscenza della storia di Roma, percezione profondamente diacronica degli avvenimenti storici del cristianesimo, familiarità materiale con il monumento e poi, vera novità, approccio di persona ad una ingente quantità di reperti archeologici paleocristiani, di stampo quasi esclusivamente funerario, discoperti nel corso dei lavori e a cui ci si approccia con occhio storico ed erudito. Si è chiaramente in un momento fondamentale, in cui per la prima volta una determinata parte della società romana ‘scopre’ davvero reperti dei primi cristiani all'interno di un contesto ben definito di ecclesiastici e famiglie romane nobili, come si è visto per il caso della collezione Cesi, che annette materiali provenienti dal cantiere di San Pietro proprio per la contiguità fisica tra Palazzo Cesi e la basilica. E per la prima volta viene a crearsi quello che poi verrà amplificato con la scoperta delle catacombe a partire dal 1578, vale a dire un contatto immediato, diretto, indubbio con l'arte paleocristiana, rappresentata qui in massima parte dai grandi cicli scultorei dei sarcofagi e dalle iscrizioni sepolcrali.
In questo senso, giova ricordare che la frequentazione di alcune delle catacombe romane, non si era mai effettivamente arrestata (Fiocchi Nicolai, Reference Fiocchi Nicolai, Bonadonna Russo and Del Re2000): si pensi innanzitutto alle chiarissime attestazioni di pellegrini nella catacomba di San Callisto nel tardo XIV e nel primo XV secolo (De Rossi, Reference De Rossi1864: 1–3). Inoltre, il caso più emblematico è quello delle spedizioni ipogee, in alcuni dei principali cimiteri paleocristiani di Roma, di Pomponio Leto e i soci dell'Accademia Romana negli anni ’60 e ’70 del Quattrocento. Non sono pochi, infatti, i graffiti e le firme di questi personaggi rintracciati all'interno del complesso callistiano, nelle catacombe di Priscilla, Pretestato, Marcellino e Pietro (De Rossi, Reference De Rossi1864: 3–6; Palermino, Reference Palermino1980: 119–20, 133–35, 141–45). Questo concorre appunto a sottolineare come l'evento della scoperta della catacomba anonima di via Anapo sia il culmine di una serie di accadimenti che testimoniano ancora una volta come le antichità cristiane siano presenti nell'orizzonte di una certa fascia sociale di eruditi e conoscitori antiquari. Infatti è forse più di una ‘amplificazione’ che di un vero e proprio inizio dell'archeologia cristiana a cui bisogna pensare quando si guarda alla scoperta accidentale del cimitero anonimo della via Anapo il 31 maggio. Se infatti l'incontro con l'arte paleocristiana era già avvenuto nei lunghi anni del cantiere vaticano negli anni ’60 e ’70 del Cinquecento, questo era rimasto in un certo modo circoscritto ad una determinata classe sociale e culturale gravitante attorno alla basilica pietrina. Con la scoperta di via Anapo ‘l'accesso’ alle antichità e alle espressioni artistiche delle prime comunità cristiane assume dimensioni assai ampie. Dimensioni ampie innanzitutto a livello geografico: tutte le vie consolari della città, in tutto il suburbio e fin nella campagna romana sono interessate al fenomeno della riscoperta delle catacombe, non più un singolo cantiere in un singolo monumento, seppure il più importante della cristianità tutta. In secondo luogo, questo evento favorisce la conoscenza dell'antichità cristiana in tutte le fasce sociali e culturali della città e del suburbio. Già l'enorme afflusso di popolo presso la catacomba nei mesi seguenti alla scoperta, talmente grande e appassionato da distruggere gli steccati messi a delimitazione degli ingressi,Footnote 41 sembra parlare chiaramente di un interesse irrefrenabile del popolo romano verso la materialità delle origini cristiane di Roma. È il popolo romano tutto, e in particolar modo quello del suburbio, ad essere interessato a queste scoperte: sono spesso i vignaioli, i braccianti, i cavatori di pozzolana ad essere testimoni diretti (se non proprio scopritori accidentali) delle riscoperte delle antiche gallerie cimiteriali cristiane nella campagna romana. È quindi probabilmente a tale indubbia amplificazione culturale, sociale e geografica che deve attribuirsi la meritata fama dell'evento ritenuto fondante dell'archeologia cristiana, che più che davvero ‘disvelare’, forse funge da cassa di risonanza. La vera finestra su arte e antichità paleocristiana si apre ad una certa fetta di popolazione di Roma quando essa riesce a guardare sotto il pavimento della grande basilica funeraria costantiniana costruita sul sepolcro di Pietro. Una tomba che non è solo la pietra della chiesa di Roma e del mondo ma che può vedersi anche come il punto attorno al quale nasce l'archeologia cristiana.